Anno XXVIII - n. 4 - dicembre 2003
Vittorino Andreoli
Capire il dolore
Rizzoli , 2003, pp. 312
Tra le righe di questo saggio si dischiude un mistero sconvolgente: produce dolore chi sa anche dare gioia immensa. Attorno a questo tema scorrono fluidi i capitoli, spaccati sull'esperienza singolare del quotidiano, esperienza mai sola bensì condivisa. Il dolore non è mai definito ma descritto, decifrato. L’autore si sforza di connotarlo temporalmente nelle diverse fasi della vita, dall’infanzia alla senilità, geograficamente lo scova in quei luoghi definiti per eccellenza luoghi del dolore, quali i Gulag, gli ospedali, le carceri, gli ospizi. La mappa del dolore costeggia altresì vicoli bui quando cala il sipario e quando le luci del protagonismo delle mille maschere dell’esistenza divengono ombre. Ecco come una città, una casa diventano monumenti al dolore, effige per la memoria. La decifrazione avviene anche attraverso il riconoscimento del linguaggio strepitoso, sommesso e subliminale, sguardo, urlo, lacrime, verso, melodia. Uno psichiatra del dolore, senza camici e senza strumenti, che ascolta condivide e sistema, nel suo magazzino fatto di memoria di incontri tra il Sé psichiatra e l’altro Sé matto. Un testimone del dolore che soffre, voyeur che guarda il dolore con il timore di un abbraccio che non lasci respirare. Accanto al mistero l’autore connota un fremito, la speranza perché il dolore è evitabile, spetta all’uomo eluderlo e frenarlo. Il mondo deve allontanare il dolore inutile, quello che dipende da uno stile di vita modificabile, dal potere che si fa violenza. Il dolore è anzitutto fatto di carne e si lega all’esperienza della carne umana; è stato parte tanto della tragedia greca quanto del Barocco, assumendo le forme della sconfitta delle passioni o della beffa. Il dolore come espressione della coscienza, di un essere cosciente che si interroga sul senso del Sé e del mondo. Un Sé cosciente del proprio limite. L’io che si cimenta con le piccole sconfitte del quotidiano, che rendono gli uomini eroi, del nulla. Nel libro non si trovano aride teorie ma la ricerca di una solidarietà umana, comprendere il dolore significa compatirlo. Interiorizzando sensazioni, esperienza, sentimento si approda alla gioia. La gioia non è assenza di dolore, ma acquisizione del senso dell’essere. Gioia è sentire che c’è un proprio senso nel mondo che si lega alla propria sofferenza e a quella degli altri. Gioia è trovare nella memoria ciò che non c’è più, gioia è una costruzione che si compie momento per momento, passa dal dolore, lo riconosce e non lo scansa. Maura Cadei |