Alda Merini
Poema della croce
Edizioni Frassinelli
Terribile e pietosa, crudele e dolcissima, la croce è il simbolo più drammatico del cristianesimo, e più provocatorio della storia: l’immagine dolorosa di Dio che si fa uomo e muore per la sua salvezza, consumando sul teatro malato del mondo la propria crocifissione, ha suscitato e continua a suscitare – tra atei e credenti - infinito sgomento e pietà, sollevando spesso polemiche e discussioni. Per chi semplicemente, nel suo intimo, s’interroga sul senso della fede e cerca nella sua esistenza il volto enigmatico di Cristo, essa rappresenta la sfida più nobile della coscienza. In questo libro straordinario, il quinto dedicato a figure sacre, la poesia di Alda Merini evoca, con una forza visionaria di rara suggestione e intensità, il momento più tragico ed emblematico della vita di Gesù, per la prima volta rappresentato dalla poetessa milanese accanto alla Vergine, in un dittico di sublime potenza espressiva e di altissima tensione emotiva. Madre e figlio appaiono infatti in tutta la loro fragilità umana, fatta di smarrimento e paura, addirittura di muta ribellione, e nello stesso tempo si stagliano sulla scena come figure luminosissime, immense, capaci di dialogare tra loro con silenzi, gesti quasi impercettibili a occhio umano: come l’abbraccio impossibile tra Maria e il figlio inchiodato. Arricchito da un bellissimo scritto di Gianfranco Ravasi e dalle opere di Sandro Chia, è un dono prezioso per tutti coloro che amano la poesia e non smettono mai di interrogarsi sul significato della vita e della fede. |
C. M. Martini e G. Sporschill
Conversazioni notturne a GerusalemmeMondadori, 2008
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E. Bianchi
Per un’etica condivisaEinaudi, 2009
Si tratta di due libri diversi, che hanno in comune la stessa passione per una Chiesa capace di annuncio e testimonianza del messaggio evangelico in un mondo profondamente diverso da quello pre-conciliare. “Vi è un’indubbia tendenza a prendere le distanze dal concilio” dice il cardinal Martini che, pur comprendendo alcune preoccupazioni, aggiunge “ciò non ostante dobbiamo guardare avanti. Anche se ogni mutamento radicale richiede sacrifici … credo nella prospettiva lungimirante e nell’efficacia del concilio … che invece di ritrarsi con timore, ha avviato un dialogo col mondo moderno così com’è”. E Martini affronta, con pacatezza ma con coraggio e senza reticenze temi brucianti come quelli dell’annuncio della fede ai giovani; della sessualità, con particolare riguardo alla contraccezione; dell’atteggiamento nei confronti dei divorziati risposati; dei rapporti tra chiesa e potere; della pace e della giustizia … Ne esce il ritratto di un uomo di fede, consapevole che quello che stiamo attraversando è un momento d’oscurità, una notte che il titolo del libro evoca, e tuttavia capace di tener viva la speranza, perché alla notte segue il giorno. È ancora possibile un confronto nella mitezza, si domanda il priore di Bose e annota: “Ultimamente alcuni cattolici sembrano sempre più voler costituire gruppi di pressione in cui la proposta della fede non avviene nella mitezza e nel rispetto dell’altro, ma nella contrapposizione a una società giudicata malsana e priva di valori”. Questo genera l’accusa “alla Chiesa di atteggiamenti impietosi e arcigni, poco rispettosi delle scelte del singolo e dunque privi di saggezza pastorale”. In questo contesto molti credenti “non riescono a comprendere non tanto il fatto che vengano ribaditi alcuni valori, ma il modo, lo stile che sembra prevalere nel confronto tra cattolici e laici”. È necessario che si ridefinisca la laicità, che si persegua un’etica condivisa, che la Chiesa resti nell’ambito profetico e promuova testimoni, non testimonial. F. B.
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Rosy Bindi
Quel che è di CesareIntervista a cura di Giovanna Casadio
Editori Laterza, 2009 – pagg. 126
“In fondo la critica più radicale al potere assoluto e al cesarismo si trova nel Vangelo, perché a Cesare si restituisce la moneta e non si consegna mai la persona, la sua libertà e la sua dignità”. Rosy Bindi in questo libricino di grande spessore racconta il suo impegno di cattolica che ha scelto la politica e va al cuore del principio di laicità. In un colloquio franco e diretto affronta le questioni cruciali della nostra democrazia. Scommette sul dialogo tra credenti e non credenti per superare reciproche scomuniche e afferma l’attualità del cattolicesimo democratico. Rilancia la dimensione etica della politica come servizio e ricerca del bene comune. Riportiamo qui di seguito alcuni frammenti, scelti fra le tante risposte che dicono la qualità delle stesse: (per me la fede è) riconoscere e fondare l’esistenza su un’unica signoria che, questo è il paradosso cristiano, mi consegna alla mia piena libertà di coscienza (pag. 8). Se lo scopo della politica è quello di rendere ragione ai deboli e rendere forti le ragioni dei giusti, è evidente quale sia la distanza che il cristiano impegnato in politica misura tra ciò che fa e ciò che ancora attende di essere fatto (pag. 9). La responsabilità dei laici fu uno dei grandi doni del Concilio Vaticano II. Capimmo che essi realizzano il regno di Dio attraverso le cose del mondo, l’impegno nei vasti spazi della politica, dell’economia, della cultura, del lavoro (pag. 13). All’albero della vita ci si avvicina con il senso del limite e non dell’onnipotenza. Noi non siamo i padroni della vita ma i custodi della vita, e questo atteggiamento mi pare fecondo anche per chi non è credente. Il custode infatti tratta le cose con lo stesso amore che avrebbe se fossero sue ma non le ‘spadroneggia’ proprio perché non sono di sua proprietà (pag. 35). Non diversamente si esprimeva Simone Weil: ”Il dio che dobbiamo amare è assente”, ha piantato la sua tenda tra gli uomini ma ci lascia liberi alle nostre responsabilità. Spero che sia la meta del mio cammino ma non può essere la stampella del mio procedere inquieto. Guardo il cielo ma i miei passi poggiano sulla terra e non voglio perdermi o inciampare e la mia testa, anche se si fa guidare dalle stelle, deve vedere dove metto i piedi, scoprire il sentiero migliore. E un sentiero è buono se lo è per tutti (pag. 69). A Barbiana, nella scuola di don Milani, c’è un cartello che dice “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da solo è l’avarizia”. Ecco, questa è la dignità della politica che riconosce la propria autonomia e i propri compiti (pag. 87). Bisogna tornare al principio fondamentale secondo cui il ruolo della politica è quello di assicurare pari opportunità … ovvero affermare il principio più alto: se ciascuno è riconosciuto nella propria libertà e dignità c’è libertà e bene per tutti, ci sono opportunità per tutti (pagg. 105/106). |
Raffaele NogaroEro straniero e mi avete accolto
Laterza, 2009
Raffaele Nogaro, nato in Friuli e per 26 anni vescovo di Caserta, ha raccolto in questo piccolo, prezioso volume le sue riflessioni sull’esperienza vissuta in una terra certamente difficile. Basta scorrere i titoli degli undici capitoli del testo, preceduti da un’introduzione e seguiti da un epilogo, per rendersi conto dello spessore della sua testimonianza: Ero straniero e mi avete accolto, Una vocazione contrastata. Parroco al nord vescovo al sud. Il catechismo della legalità. La chiesa di frontiera e la politica. Sempre e comunque no alla guerra. Lo scandalo della povertà. Gli immigrati non sono merce. Come combattere la camorra. Ambiente e salvaguardia del creato. La Chiesa di Cristo. Tre frammenti possono darci il senso di questa testimonianza. Il vescovo Nogaro vede “l’avanzare di una Chiesa troppo autoreferenziale, che confonde i suoi fini con i suoi interessi” (pag. 49) e sogna una Chiesa di frontiera: “la frontiera - si sa – è sempre stata un luogo esposto, un confine che sta lì per essere attraversato. La frontiera è sempre stata luogo degli arrivi e delle partenze. È il luogo dell’imprevisto e dell’inedito. È luogo dell’originale … dell’uomo sempre nuovo e in attesa di una patria. È questa la Chiesa che sogno di vedere, una Chiesa sempre in cammino e nello stesso tempo artigiana di pace: non solo della pace dei cuori, ma anche della pace che passa attraverso l’azione politica” (pag. 50). Egli denuncia senza reticenze “Oggi la forma di povertà più vistosa e drammatica è quella degli immigrati e dei rom. In nome di una fantomatica sicurezza sociale si sta costruendo la fabbrica della paura verso tutto ciò che apparentemente può ledere la tranquillità del cittadino” (pag, 80-81). Gli immigrati non sono invasori. Sono prima di tutto esseri umani (pag. 85). L’impegno del credente non può limitarsi al qui e all’oggi, deve aprirsi a tutto il creato e al futuro: “Convertirsi significa ritrovare il senso della misura, adattare il nostro modo di vivere alle risorse planetarie disponibili”, è necessario adottare “uno stile di vita che implichi la liberazione dall’ossessione di possedere e consumare” (pag. 111). Quella di Raffaele Nogaro è una testimonianza che, anche se carica di partecipazione, non indulge a facili emozioni e ci richiama a nostre precise responsabilità. |