Anno XXIV - n. 1 - marzo 1999
Josè Saramago
Il racconto dell'isola sconosciuta
Einaudi, Torino 1998
A volte, per spiegare la vita, per narrarne i colori, gli accecanti raggi o i tramonti inafferrabili può bastare una storia, una semplice fiaba da recitare dentro di sé e da tramandare ad altri come prezioso viatico per i numerosi viaggi (i voli) che dovremo affrontare lungo la nostra esistenza. Di barche, viaggi ed isole sconosciute si parla in questo breve ed intenso racconto di Josè Saramago. Un marinaio alle prime armi e una giovane donna delle pulizie si incontrano per caso e, insieme, sognano di trasformare la loro vita, di schiuderne le infinite possibilità, viaggiando nel mare aperto alla volta dell'isola sconosciuta. («Tutte le isole, anche quelle conosciute, sono sconosciute finché non vi si sbarca», p. 13). Non partono, ma sulla barca ancora ormeggiata dormono e sognano... viaggiano. I loro sogni si incrociano e si intrecciano. I loro sogni si cercano. Il viaggio si è così compiuto: sulla terra. Insieme capiscono - sentono - che l'isola sconosciuta che sognavano di trovare è la realtà e i loro occhi che si parlano, la confusione dei corpi e delle mani che si desiderano. In silenzio e nell'ombra sentono che l'isola sconosciuta altro non è che la ricerca di se stessi attraverso l'amore per l'altro, per il suo vasto e sconosciuto - conoscibile - mare. Ramona Parenzan |
Anno XXIV - n. 2 - giugno 1999
Silvano Fausti
L'idiozia - con postilla sul GiubileoEd. Ancora, pp. 120.
Il quadro di S. Dalì 11 Cristo di san Giovanni della Croce rende molto efficacemente e plasticamente ragione del titolo: un Gesù crocefisso visto di scorcio dall'alto, in modo tale che, in primo piano, dominino le braccia tese inchiodate al legno, il capo pendente, dai margini del quale si intravedono i piedi. La scena è impressionante e il cielo nero in cui si staglia il Crocefisso - su cui piomba una luce dall'alto - evoca l'idea di vuoto, di tenebra e di abisso con cui inizia la Genesi, idea che è suggerita anche dalla crosta terrestre sottostante su cui è innalzata la croce. Vuoto, tenebra, abisso e ancora debolezza, piccolezza, follia, o meglio, idiozia. L'idiozia è quella di Dio, la scandalosa, imperdonabile gaffe di Cristo, un Dio crocefisso. (Fra l'altro, del termine idiozia che titola il libro, sull'immagine di copertina le lettere "dio" sono centrate in corrispondenza della croce, raggiungendo un effetto shockante). Questo di Fausti è un piccolo ma preziosissimo libro, una cristologia che potremmo paragonare a un tesoro nascosto che è assolutamente urgente scovare e leggere per comprendere le questioni riguardanti l'identità di Gesù e il perché di un dibattito, e per conseguire la conoscenza dello sfondo evangelico in vista anche di una lettura più approfondita e poter riflettere così, con discernimento, sulle proposte moderne. Idiota e idiozia derivano dal greco idios che significa "proprio, privato, singolare". «Ogni parlare sensato è proprio, privato, singolare di chi parla, a meno che sia un replicante» (cf. p. 16). Gesù è Parola di Dio fatta carne, è quindi idiozia di Dio. Davvero interessante questo leitmotiv che ricorre puntualmente nel testo e che, in filigrana, permette al lettore di seguire l'articolazione della proposta su due registri: Gesù è l'evento singolare, la pietra di inciampo con la quale l'uomo credente e non si misura prima o poi nella vita, e la connotazione che idiozia ha assunto nel nostro linguaggio, cioè di epiteto offensivo, col quale si legge la gaffe di Dio. Il racconto fondante è costituito da Lc 23, 32-49, la morte di Gesù in croce fra due malfattori. Questa pagina delinea un volto di Gesù poco conosciuto e ci aiuta a fare pulizia delle tante immagini di Cristo quante sono gli idolon. Maria Rosaria Gavina |
Anno XXIV - n. 3 - settembre 1999
James Hillman
Puer aeternusAdelphi, pp. 161 Se desideriamo veramente crescere - e dobbiamo farlo se vogliamo vivere meglio! -dobbiamo prepararci ad affrontare sfide esistenziali durissime e nel contempo inevitabili. Per far germogliare, infatti, le infinite possibilità che ospitiamo dentro di noi - le nostre "forze", o "dunamis" - e divenire così persone, dovremo accostarci, giorno dopo giorno - attraverso una profonda riflessione su noi stessi e sui nostri atteggiamenti o modalità esistenziali - al "fondo" (grund) della nostra anima ed allo psichico in generale. Ma per abitare questa dimensione - ci avverte J. Hillman nel suo prezioso Puer aeternus - è necessario indossare nuove lenti per leggere e per sentire l'alto potere rigenerativo che ci proviene - come suo residuo da accettare e comprendere - da alcune esperienze dolorosissime e laceranti ma - solo apparentemente - dannose, definitive o inutili. Saper volgere in esperienza vitale, per esempio, il tradimento subito da persone di cui ci fidavamo ciecamente e dalle quali ci sentivamo profondamente amati è, forse, una delle sfide più alte e più preziose. «Senza l'esperienza del tradimento - scrive Hillman -né fiducia né perdono acquisterebbero piena realtà» (p. 45). E ancora: «Il perdono di cui parlo è un perdonare che non equivale a dimenticare, ma è un ricordo del torto subito, trasformato all'interno di un contesto più vasto, ovvero, come ha detto Jung, il sale dell'amarezza trasformato nel sale della saggezza» (p. 44). Riuscire a perdonare, quindi, ci salva e ci redime, ma questo è possibile solo in una cornice d'amore, all'interno, cioè, di un rapporto dove entrambi i soggetti - traditore e tradito - siano consapevoli della straordinaria carica vitale di questa esperienza che si sono trovati, insieme, a condividere. Dunque, se il papà della storiella ebraica non accoglie né tantomeno "salva" dall'urto il figlio fiducioso che si lancia dall'ultimo gradino proprio perché forte di una passata esperienza di accoglimento sicuro e costante nel tempo lo fa, paradossalmente, per insegnare al figlio la vita e per stargli accanto in modo ancora più forte durante e dopo questa necessaria esperienza di abbandono e di distanza. Per tradire in questo modo e per perdonare senza lasciare spazio a risentite rappresaglie o ancor peggio ad un atteggiamento difensivo come il cinismo, bisogna avere coraggio. Solo così, infatti, riusciremo ad aprire la porta pesante che ci conduce alla vera vita e a lasciare in modo certo ma non definitivo o violento il magico mondo del puer per poter successivamente accedere alla realtà, al mondo della persona accettando con serenità il nostro essere per metà entusiasti e creativi puer e per un'altra metà, invece, saggi e a volte freddamente statici e calcolatori senex. Solamente da queste esperienze di vita sapremo capire che Adamo non c'è senza Eva, che l'animus danza con anima e che la vita, a volte, nasce da morte, dalla nigredo, dalla tristezza accolta, accettata (anche se con difficoltà!) e poi serenamente superata e riassorbita per lasciare spazio a nuove esperienze. Ramona Parenzan |
Anno XXIV - n. 4 - dicembre 1999
Florida Scott-Maxwell
La misura dei miei giorni
Marietti, pp. 110
"Sono diventata leggera e duttile in seguito a tutti gli errori che ho fatto, ma mi piacerebbe che un diario sapesse ridere. ... Io ho voglia di ridere" (p. 19). Così comincia il bellissimo diario di Florida Scott Maxwell, una 'giovane' e fresca psicoanalista di ottant'anni che nell'intimo dei propri giorni e nella quiete domestica interroga se stessa e le proprie emozioni - ancora vive e forti - circa il mondo, gli uomini e tutti gli eventi che appartengono a quel "mistero tragico" che è la vita. Le sue domande muovono da una solitudine goduta, dal desiderio di raggiungere il silenzio interiore come unica fonte capace di far scaturire le domande più profonde, come l'unica via per sentire la forte urgenza di divenire consapevoli. Lungo le pagine del diario leggiamo il bisogno continuo che Florida avverte di "richiamare gli eventi della tua vita per divenire completamente te stessa" (p. 37). Il risultato di questa immersione sono pagine molto belle, toccanti e delicate ... durissime perché vere. Con essa e con la sua saggezza data dagli anni e dalla vita impariamo che "cimare e soffrire sono la stessa cosa", insieme a lei ci rendiamo conto con dolore che "stiamo andando verso una completa omologazione" e che dobbiamo invece lottare per mantenere una mente creativa e per riuscire a tenere salde e alte le differenze: le nostre preziose individualità. Con Florida e con la sua scrittura femminile, abile nello scandaglio e nello scavo sentiamo tutta la difficoltà che ci viene nel cercare di tener salde al centro le nostre infinite contraddizioni, sentiamo la fatica di comprendere che la distruzione fa parte della creatività così come l'odio può far emergere la verità. Ma con lei capiamo anche che "gli opposti sono anche la croce e sono anche noi; se abbastanza forti possiamo sentire la calma nel centro, e se l'accoglimento è possibile le nostre braccia ci circondano e noi conteniamo la nostra pena" ed ancora " è come se ogni gioia e dolore fosse Dio o la vita e dicesse "vedi?" e noi abbiamo bisogno, senza alcuna pressione, di dire, in verità: "vedo"" (p. 39). Tutta quest'ansia di vivere e di comprendere nonostante l'età (o forse sarebbe meglio dire soprattutto?) è commovente ... Il dono che ricevo da queste pagine è il desiderio di continuare a lottare per la mia individuazione cercando di superare gli attimi di sfiducia e d'impotenza che spesso vivo nel vedere dentro e fuori di me il caos. Ma è proprio Florida ad insegnarmi ancora una volta che il caos è la vita, e la vita è Dio e noi siamo i suoi strani e dignitosissimi figli. Ramona Parenzan |