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Anno XXXV - n. 1 - marzo 2010 

 

 

Carlo Maria Martini

 

Qualcosa di così personale. Meditazioni sulla preghiera

 

Mondadori 2009 - pp. 159

 

Quella tonalità intimistica e autocentrata che il titolo potrebbe far presumere è vanificata dal sottotitolo che ne precisa il taglio e il contenuto. Si tratta infatti di “Meditazioni sulla preghiera” che il card. Carlo M. Martini regala a tutti coloro – credenti e diversamente credenti - che sono disposti a mettersi sulla lunghezza d’onda della verità, autenticità, ricerca e che non temono – o quantomeno osano - di affrontare a partire dalla condizione dell’invecchiamento. La tappa raggiunta e da cui C. M. Martini guarda è un punto d’osservazione privilegiato perché inconsueto, perché è il suo, perché invita i lettori a soffermarsi su un argomento che rimane tabù nel nostro mondo, perché costituisce una formidabile testimonianza di umanità.

 Il testo riempie un vuoto nella conoscenza che possiamo avere della preghiera e della preghiera nell’età avanzata ove ciò che è regressione e malattia può essere assunto e trasformato e dischiudersi a modalità di abbandono rigeneranti. È proprio un dono quello che la pubblicazione di questo libro costituisce. Esso, per certi aspetti, non è una novità in senso assoluto; in queste pagine ritornano temi cari al cardinal Martini (Il clima di preghiera, Prima della preghiera, Il lento apprendimento della preghiera cristiana, Lectio, Meditatio, Il cammino della Lectio Divina) e, tuttavia, si tratta di un libro “nuovo” nella struttura e nell’impianto di fondo come nell’articolazione delle parti. Si tratta della proposta di un esercizio di preghiera nella quale si impara a pregare soprattutto pregando. Siamo alla presenza di un libro e di un metodo esigente: chiede tempo, continuità, impegno, costanza, perseveranza. D’altronde l’essere avanzati negli anni non è un accidente né una calamità ma la condizione naturale e necessaria affinchè la personalità si confermi e si compia.“Ma la preghiera dell’anziano potrebbe anche essere considerata la preghiera di qualcuno che ha raggiunto una certa sintesi interiore tra messaggio cristiano e vita, tra fede e quotidianità. Quali saranno allora le caratteristiche di questa preghiera? Non è facile stabilirlo in astratto e aprioristicamente occorrerebbe piuttosto riflettere sull’esperienza dei santi, in particolare dei santi anziani. Perciò bisognerebbe dedicare, con pazienza, un po’ di tempo alla ricerca. Anzitutto nella Bibbia” “…Mi pare che possano emergere tre aspetti: un’insistenza sulla preghiera di ringraziamento; uno sguardo di carattere sintetico sulla propria vita ed esperienza; infine una forma di preghiera più contemplativa e affettiva, una prevalenza della preghiera vocale sulla preghiera mentale”.

James Hillman ha detto che “scoperte e promesse non appartengono soltanto alla giovinezza; la vecchiaia non è esclusa dalla rivelazione”. Carlo M. Martini invita a non rimanere nell’atrio della preghiera ma ad entrare decisamente nel suo tempio, là dove Dio si incontra nel silenzio, nel riconoscimento della propria povertà e nel bisogno della Sua grazia.

Maria Rosaria Gavina Grossi

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Anno XXXV - n. 2 - giugno 2010 

 

 

Joseph Moingt

 

Gesù è risorto!

 

 

È un libretto agile e leggibile, che fa parte della grintosa collana Sympathetika, dell’Edizione Qiqajon, 2010 della Comunità di Bose.  Joseph Moingt, teologo di consumata attività accademica, aggancia la sua ricerca teologica alla vita e alla storia. Nel libro affronta il tema centrale della fede e la resurrezione di Gesù. Vi traspare tutta la sua passione per l’uomo e per il tempo attuale. Egli asserisce che la fede nella resurrezione non è il credere ad un prodigio insolito o al mito di un altro mondo: è l’inserirsi in una visione di storia, è un orientamento di vita, una decisione di ogni istante, è un impegno a vivere una vita sempre nuova perché continuamente strappata al compiacimento di sé, all’inerzia, alla sufficienza.

Nell’insieme del testo, scorrevole anche se articolato e profondo, si scorge una visione esaltante ed esigente. La resurrezione non ci è posta dinanzi come un riposo nella beatitudine, lontano dai fastidi della terra, né come una ricompensa individuale e acquisita a caro prezzo, né come un miraggio proiettato nel futuro irraggiungibile di una esplosione cosmica. È un dono, sì, ma anche un lavoro da intraprendere insieme con Cristo; per l’eternità, sì, ma fin d’ora e fin da quaggiù. Resuscitare con Cristo significa portare il suo carico di umanità, farsi carico del mondo, prendere parte all’opera creatrice di Dio, mettere a nudo pazientemente una umanità nuova, affrancata dagli odi e dalle paure, riconciliata con se stessa dai legami dello Spirito Santo. Tale è l’intelligenza del Regno di Dio, che opera nei limiti del tempo, dello spazio per respingerli all’infinito, e che si disvela nella fede, nella resurrezione di Gesù, avvenuta in lui per tutti.

Di conseguenza, credere alla resurrezione di Gesù in modo efficace per la salvezza significa credere che siamo coinvolti in essa e che vogliamo coinvolgerci; significa affidarci a essa per la traversata della vita, desiderare che ci invada e ci trascini, affidarle i nostri aneliti di vita e di felicità.

Battista Borsato

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Anno XXXV - n. 3 - settembre 2010 

 

 

Hans Kung

 

Ciò che credo

 

Rizzoli, 2010 – pp. 227

 

 

“Una cosa è la ‘religione ufficiale’ di una persona.

Un’altra è la religione del cuore, che ognuno porta dentro di sé”.

L’appassionato credo del ‘teologo ribelle’ che per tutta una vita ha combattuto il dogmatismo religioso con la più autentica delle fedi: l’umanità.

“Verso la fede cieca, e verso l’amore cieco, ho nutrito e nutro sospetti fin dai tempi in cui studiavo a Roma”. Questa diffidenza nei confronti di ogni assolutismo ha sempre guidato Hans Kung, il più critico tra i teologi cattolici, il rivoluzionario che ha detto sì alla pillola e no all’infallibilità papale. È possibile oggi, si chiede, credere in una religione? Oppure la complessità del mondo contemporaneo ci spinge sempre più verso un’etica globale, condivisa e condivisibile da tutti? Per illustrare le sue risposte a queste domande universali, Hans Kung ripercorre i momenti fondamentali della propria esistenza. Dai dubbi del periodo universitario ai dissidi con le gerarchie ecclesiasti-che negli anni Settanta, dall’impegno volto a favorire il dialogo interconfessionale al conferimento nel 2008 della medaglia d’oro Otto Hahn per la pace, le tappe di questo itinerario esemplare toccano alcuni tra i temi caldi della nostra epoca: il multiculturalismo, la natura contraddittoria della libertà, la delicata relazione tra morale e ricerca scientifica, la necessità di superare i limiti angusti dell’intolleranza religiosa.

Questo libro racconta l’avventura affascinante di una ricerca personale instancabile e coraggiosa. Scagliandosi contro il nichilismo di troppi pensatori moderni, Kung accompagna il lettore in una straordinaria ascesa spirituale, alla ricerca di una nuova prospettiva fondata sull’amore, la consapevolezza di sé e il rispetto del diverso. Un autentico inno alla gioia capace di rivolgersi a tutti, anche a chi non crede: perché sia il valore dell’uomo, e non il dogma, a guidare finalmente la nostra storia.

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Anno XXXV - n. 4 - dicembre 2010 

 

 

Raniero La Valle

 

 

Paradiso e libertà

L'uomo, quel Dio peccatore

 

Ponte alle Grazie, Milano 2010 – pp. 230

 

 

Leggere Raniero La Valle, indimenticato narratore della vicenda del Concilio Vaticano II negli anni ormai lontani del suo svolgersi, è sempre un piacere e un motivo di arricchimento, non solo per lo stile della scrittura che sa coinvolgere emozionalmente l'interlocutore, ma soprattutto per l'incontro con un pensiero altro, mai scontato e sempre fiammeggiante. Nel suo libro “Paradiso e libertà” sono affrontati temi antropologici e teologici innovativi: l'esigenza di un modo nuovo di pensare Dio e il suo rapporto con l'uomo, il senso della Chiesa e del suo inserimento nel mondo. Ma quello che sopra tutti mi pare cruciale e dominante è il tema della libertà.

Qual è la cosa che distingue l'uomo dalle altre creature? Per l'autore è proprio la libertà. In ciò consiste l'essere fatto a immagine di Dio: l'uomo può fare il male, ma può anche gareggiare con Dio nell'amore. La Valle non interpreta il limite umano, il dolore, come conseguenze del peccato originale, ma come connotati e doni della natura stessa, perché l'uomo è artefice  del proprio destino e deve prendersi le proprie responsabilità per il riscatto della società contemporanea colpita dalla crisi dei valori. Non si salva l'anima se non si grida per gli oppressi.

Il titolo del volume fa riferimento ad una decretazione bolognese medioevale che aveva restituito ai  servi la libertà e che nella sua espressione cartacea era chiamata “Libro Paradiso”. Un riferimento dalla forte valenza simbolica: il Paradiso è il luogo dove gli uomini vengono a libertà Ma “se il Paradiso è libertà, perché lì abita Dio la cui immagine è la libertà, allora ogni volta che sono stati liberati dei prigionieri,.. che hanno acquistato diritti gli operai, che sono uscite le donne dalle mani di padri e padroni,.. e ogni volta che sono state scritte le Costituzioni, e che si è dato mano ad attuarle, e le si sono difese contro i loro eversori, e quando il costituzionalismo ha fatto concepire anche altre, ulteriori conquiste, allora si è stabilito un pezzo di paradiso in terra; e ogni volta che questo accade, si accorciano le distanze tra i due paradisi, e l'uomo, se è divino, può trovarsi a casa sua in ambedue le città” (p. 29).

Nel libro emerge anche l'incontenibile grandezza dell'amore dell'uomo e della donna. Ricorda La Valle in un'intervista a Maurizio Chierici riportata nel suo blog, che nell'Aida il prode capitano egiziano prorompe, rivolgendosi all'amata, nel celebre canto: “Celeste Aida, forma divina...”; che nell'Iliade la bella Elena viene chiamata “divina”; e che anche nel Cantico dei Cantici l'amore tra quell'uomo e quella donna è detto “fiamma di Dio”. Non si tratta di espressioni iperboliche: nel linguaggio proprio delle relazioni umane come in quello della teologia, “celeste” significa che l'amore umano appartiene alla sfera che è propria di Dio. Il fatto che in esso, e specificamente nell'amore di coppia, Dio sia implicato con una sua presenza reale e non solo come metafora, trova riscontro in tutta la tradizione biblica e, come è stato ricordato, soprattutto nel Cantico dei Cantici che è il più bel libro della Bibbia, nel quale è evidente che l'amore non consente agli amanti di restare in se stessi e si fa segno dell'amore estatico di Dio, per cui Egli si svuota e trabocca negli uomini e li trascina fuori dal loro limite umano (p. 13).

Battista Borsato

   
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