Anno XXIII - n. 1 - marzo 1998
Daniel Pennac
Signori bambini
Feltrinelli, Milano 1998, pp. 188
Professori arcigni che rimpiccioliscono, "sbarbati" che all'improvviso diventano adulti nerboruti, genitori che si trasformano in "nani" scatenati grondanti gioia nel tirarsi cucchiaiate di purè. Tutto questo e molto altro nell'ultimo libro di Pennac, che si legge tutto d'un fiato grazie ad uno stile narrativo fresco e coloratissimo come i disegni infantili che figurano la copertina. A causa di un tema scolastico da fare a casa come punizione, genitori e bambini, come per incantesimo, si scambiano corpi e ruoli, ma in realtà, ancor prima della sorprendente metamorfosi, di adulti veri e propri nel racconto non ce ne sono. Non sono "adulti" infatti i padri di Joseph e Nourdine, l'uno incapace di andare a difendere il proprio figlio davanti ad un insegnante diabolico ed accidioso a causa della propria infelicità, l'altro incapace di provvedere ai figli e alla casa dopo l'abbandono della moglie ed intento solo a disegnare, nella solitudine di un garage, la propria malinconica tristezza su delle tele raggianti di colori e sfumature. Guarda caso poi, l'unico padre davvero "presente" nel racconto è quello di Igor. Morto anni prima per una trasfusione e costretto perciò a comunicare al figlio dalla tomba. Prima del suo rimpicciolimento non era adulto neanche il terribile Crastaing, insegnante caricaturale che ricorda moltissimo Mr Grand Grint di Tempi duri di Dickens (Grand Grint: «Nessuno spazio per la fantasia, attenetevi ai fatti»; Crastaing: «Immaginazione non è menzogna»). Non poteva essere adulto - ed è lui stesso a dirlo - perché non aveva mai potuto assaporare la «gioia imbecille e i piaceri ottusi dell'infanzia». Sono molti, poi, i temi attuali e "scottanti" che si incontrano in questa bella favola per adulti: il problema dell'integrazione razziale, la malasanità, la stereotipia ottusa di certi ruoli educativi e di certe pedagogie, bambini adulti per costrizione che devono accudire e consolare genitori depressi, prostitute che hanno capito sin troppo bene che quello che i loro clienti vogliono davvero è un orecchio attento che "dopo" sappia anche ascoltare. Insomma un libro ricco, scritto bene e che riesce a farci riflettere con un sorriso sulle labbra. Ramona Parenzan |
Anno XXIII - n. 2 - giugno 1998
Ulrich Beck - Elisabeth Beck-Gernsheim
Il normale caos dell'amore
Bollati-Boringhieri, Torino 1996, pp. 294
Oggi, tra i sociologi, si parla spesso della necessità e dell'urgenza da parte dei mass media di diffondere una buona "cultura della contemporaneità", un sapere cioè che sia centrato soprattutto su temi attuali e che sappia poi analizzarli, secondo prospettive diverse affinchè la gente si senta stimolata a cogliere e a comprendere meglio l'alto grado di complessità insito in ogni fenomeno sociale. Il normale caos dell'amore di Ulrich Beck e Elisabeth Beck-Gernsheim potrebbe, a mio avviso, essere un buon esempio di questo nuovo tipo di cultura. I due sociologi americani, infatti, ci invitano ad osservare insieme a loro la frastagliata mappa dell'amore contemporaneo, con tutti i suoi paradossi e le sue "normalissime" contraddizioni. La chiave di lettura usata è perlopiù sociologica. Nel corso del viaggio, infatti, riusciremo a cogliere il legame fortissimo che intercorre tra il nuovo modo di "sentire" l'amore, l'alto numero di divorzi e l'illusione di un amore davvero autentico con la complessa realtà del mercato del lavoro, la rivoluzionaria equiparazione delle possibilità di istruzione tra uomo e donna, le lotte furibonde per la suddivisione del lavoro domestico. Se all'esterno i rapporti sociali sono basati sulla competizione e spesso risultano stereotipati e fugaci, l'amore diventerebbe invece l'isola beata e protetta dove poter prima di tutto riscoprire se stessi, le proprie emozioni, i propri desideri e bisogni attraverso l'altro e poi riuscire ad instaurare una "piccola società a due" che scoppierà però non appena queste forti aspettative verranno deluse. Viene così spiegata dai due autori la stretta connessione tra le grandi illusioni circa l'amore a due e il matrimonio con il disastroso aumento del numero di divorzi, fenomeno allarmante e attualissimo. I due autori auspicano invece che attraverso questo libro la gente diventi più consapevole circa la vera "natura" dell'amore, fenomeno complesso e carico di indissolubili paradossi e che comprenda poi, che una vera "relazione a due" passa soprattutto attraverso una sana mediazione dei conflitti. Solo così sarà possibile gestire non solo i rapporti di coppia ma anche quelli sociali che, per i nostri autori, sono altrettanto importanti e necessari. Ramona Parenzan |
Anno XXIII - n. 3 - settembre 1998
Ruben A. Alves
Parole da mangiare
ed. Qiqaion, Comunità di Bose, 1998, pp. 199
"Mangiare" è un atto ricco di significati che va ben oltre al semplice soddisfacimento di un bisogno fisiologico. Che cosa e come mangiamo, dipende in primo luogo dalle risorse offerte dal territorio, ma anche dalle credenze religiose, dalle tradizioni e persino dalle superstizioni del popolo al quale apparteniamo. Dipende ancora dal nostro personale rapporto con il cibo, così come si è andato determinando sin dalla nostra infanzia; dalle abitudini alimentari familiari, nonché dalla scelta, dalla preparazione e dalla presentazione dei cibi. Dipende infine, e talvolta in modo preminente, dalla presenza o meno di piacevoli convitati. Nella Bibbia il cibo è un simbolo fortissimo dell'intero vivere umano. Banchettare, per esempio, è sinonimo di benessere e di tranquillità socio-politica, e, quindi, condizione di felicità. Spesso il mangiare e il bere sono connessi al concetto di diritto/giustizia. Il mangiare, avulso dalla giustizia, può diventare espressione di ingordigia, sintomo di un livello basso dell'esistenza o di un'avidità distruttiva e consumistica. Non a caso il degrado della società, in tutte le culture, è stato descritto con l'immagine di banchetti trasformati in orge disumane. Ruben A. Alves - teologo protestante brasiliano, sociologo, psicoanalista, poeta e scrittore di racconti per bambini, esponente di una "teologia della speranza e della liberazione umana" - attraverso questo libro ci fa sperimentare come le parole, le immagini, le emozioni, i ricordi che vengono evocati si possano gustare, centellinare, metabolizzare. Questo volume nasce dalla convinzione che ognuno di noi, al di là dell'età e dell'esserne consapevole, ha sempre appetito, anzi fame: di poesia, di racconto, di filosofia, di teologia. L'autore ci mette in condizione di apprezzare e assaporare questi cibi con un senso di sorpresa, di gioia, di soddisfazione piena (cf. i capitoli Parole e carne; Parole da mangiare; Poesia e immagine). Il libro, fonte di ispirazione per quanti vorranno gratificarsi con questa lettura, ci guida a esplorare e a mettere alla prova la nostra cultura e la nostra creatività con associazioni, evocazioni, echi e richiami, in un impasto felice che può dare energia e significato alla nostra vita. M. Rosaria Gavina |
Anno XXIII - n. 4 - dicembre 1998
Enzo Bianchi (a cura di)
Un raggio della tua luce. Preghiere allo Spirito santo
ed. Qiqaion, Comunità di Bose, 1998, pp. 240
Abbiamo ricevuto quest'anno dalla chiesa l'invito a concentrarci sul mistero di vicinanza, di inabitazione (gli ebrei parlano di shekinah, che è i-nabitazione nel tempio, il verbo shakal significa "abitare") dello Spirito di Dio nella nostra vita concreta, quotidiana. Sulle tracce dello Spirito, dunque, nella ferialità. Lo Spirito c'è sempre, ma l'arte di scoprirne la traccia, la capacità di coglierne la vicinanza? Dove riconoscerne le "orme"? La prima via è quella della lectio, del momento di intelligenza o di lucidità: leggere la scrittura per scoprire lo Spirito e, leggendo, ridare vita al fuoco: coloro che hanno pratica del fuoco con la legna sanno che non si deve soffiare troppo, si deve alimentare il fuoco con il soffio, questo è l'esercizio paziente ma insistente. La seconda via è la preghiera. Riceviamo un anno dove possiamo pregare con lo Spirito, nello Spirito, allo Spirito che è l'anima della nostra preghiera. S. Agostino, all'inizio delle Confessioni, parla di in-vocare, vo-care dentro, chiamare dentro lo Spirito. Il testo Un raggio della tua luce ci introduce e aiuta in questo "lavoro" con una raccolta di preghiere allo Spirito santo non «raffazzonate da una parte o dall'altra senza discernimento, ma (si tratta) di una collezione vagliata a lungo, misurata e temprata in base alla fede della chiesa indivisa» (pag. 5). La tradizione greca e bizantina, siriaca maronita, armena, mozarabica, l'occidente latino, la chiesa ortodossa, la chiesa della Riforma e la chiesa cattolica e, inoltre, inni, preghiere e contemplazioni dalla liturgia di Bose costituiscono la "traccia" intravedendo la quale ci è dato di percorrere seguendone le orme, un cammino, di sentire e gustare una realtà viva che ha animato, di comunità m comunità, la fede delle chiese nei secoli. La preghiera dello Spirito non può svilupparsi in noi se non c'è una qualità di "attenzione" al suo lavoro, una passività. Abbiamo bisogno della nostra attenzione per essere vulnerabili, per essere accoglienti: "dulces ospes animae" dice l'inno, ospite dolce dell'anima resa dolce; lo Spirito santo è un ospite che entra solo se l'anima stessa è diventata silenziosa pacifica, recettiva per la sua dolcezza. Tanti valori è impossibile accoglierli senza partecipare ai valori. Maria Rosaria Gavina |