Anno XXXIX - n. 1 - marzo 2014
Battista Borsato
Credere fa bene
EDB – 2013
E’ l’ultimo libro di mons. Battista Borsato, direttore dell’Ufficio di pastorale familiare della diocesi di Vicenza, autore di molti libri di successo che propongono una nuova visione della fede, una fede vista non più come sacrificio, rinuncia, privazione e mortificazione della personalità, in vista dell’aldilà, ma in rapporto con la libertà, la felicità e la realizzazione di sé nell’aldiqua. “E se ci rendessimo conto – si chiede don Battista nella introduzione – che Gesù è venuto non per insegnarci la strada dell’aldilà, della cosiddetta vita eterna, ma per indicarci la strada per essere uomini liberi, felici, pieni nell’aldiqua?”. Certamente Gesù non ha negato l’aldilà, anzi, l’aldilà è la grande speranza immessa profondamente nella nostra vita e nella storia. Però la speranza della vita che supera la morte non nega l’aldiqua, ma gli dà forza, consistenza. Se ciò che viviamo, se ciò che costruiamo, se ciò che godiamo, non termina nel presente ma assurge a qualcosa di eterno, la vita presente si rivela ancor più ricca di stimoli a goderla, a viverla bene. E’ vero che credere è abbracciare il progetto di Dio, ma questo progetto non è per la gloria di Dio, bensì per la promozione dell’uomo. Dio non cerca se stesso, il centro non è se stesso, è l’uomo. Dio si è fatto servo dell’uomo. E’ una cosa inaudita. In tutte le religioni l’uomo è chiamato a servire Dio, nella Bibbia invece è Dio che si pone al servizio dell’uomo. Ecco perché “credere fa bene”, per il fatto che promuove la crescita dell’uomo e la sua piena realizzazione in questa vita. “Queste pagine – scrive nell’introduzione Ermes Ronchi – si muovono tra attesa e grazia, tra dono e conquista, e con il loro respiro lucente si collocano tra i libri importanti per chi desideri cercare strade per la nuova evangelizzazione, affrontare il tema ormai ineludibile del “secondo annuncio” di vangelo dentro le nostre vite disamorate: Dio seduce ancora perché parla il linguaggio della gioia”. Gianni Giolo
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Anno XXXIX - n. 2 - giugno 2014
Massimo Recalcati
Non è più come primaElogio del perdono nella vita amorosa
Raffaello Cortina Editore – pp. 159
L’irresistibile sottotitolo dell’ultimo libro di Recalcati, ha per oggetto il perdono. Si tratta di un tema affascinante e ardito perché il contesto in cui si cimenta ha a che fare con “ l’amore che resiste e che insiste nella rivendicazione del suo legame con ciò che non passa, con ciò che sa durare nel tempo, con ciò che non si può consumare (….). La sfida appassionata e appassionante di Recalcati è a favore dell’amore “che lascia il segno”, dell’amore “che non vuol morire” di cui assume esplicitamente la difesa. Contro la triste e trita coazione a ripetere del “nuovo” ossessivamente ricercato, nell’illusoria convinzione che questa possa condire una vita senza desideri e insapore e alla regola consumistica a cui soggiace, un mondo ove la parola “ fedeltà” evoca odore di stantio, Massimo Recalcati contrappone arditamente e controcorrente, la possibilità di un amore che, attingendo alle sorgenti e alla vena acquifera che l’ha posto in essere, tragga alimento e rigenerazione da questa intuizione originaria che è vitale. E poiché nessuno è al riparo dal tradimento di se stesso, di se stesso nei confronti dell’altro, dell’altro verso se stesso (l’amore comporta l’esposi-zione all’altro, l’abbattere le difese, la “nudità”), la ricomposizione del trauma - necessario per il “per-dono”- è il filo d’oro che occorre seguire per rimettersi al mondo, per rilanciare il rapporto. Perdonare è un processo molto complesso e doloroso che, per essere autentico, costringe a toccare livelli psichici profondi. Processo difficile perché il rischio in cui si inciampa è quello di farlo per un’istanza superegoica piuttosto che come frutto di un’ introspezione seria. Le ultime 25 pagine del libro, scritte in corsivo, sono intitolate “Diario di un dolore”: sono la prima prova “narrativa” dell’Autore che attinge alla sua vasta esperienza di analista , impastata di elementi autobiografici. In tal modo Recalcati offre al lettore, secondo il più classico insegnamento della psicoanalisi, “il luogo” da cui sorge il vissuto, l’elaborazione, la fiducia, la vita. M. Rosaria Gavina Grossi
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Anno XXXIX - n. 3 - settembre 2014
preghiera del rabbino Levi Weiman-Kelman
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Anno XXXIX - n. 4 - dicembre 2014
Carmine Di Sante
Dio e i suoi VoltiPer una nuova teologia biblica
Edizioni San Paolo srl, 2014 – pp.292
In questo saggio l'autore si interroga sulla “religione” biblica, cioè sul volto di Dio così come emerge dal racconto anticotestamentario e neotestamentario. Dio ha un solo “volto” il volto dell'Amore. Parlare dei volti di Dio è articolare in che senso, per la Bibbia, Dio si rivela come amore. I criteri dai quali l'autore si è lasciato motivare nella stesura del saggio sono cinque: Il primo: il racconto fondatore. La Bibbia è una pluralità di libri nei quali si registrano tutti i generi letterari; ma più importante e a monte di questi è il linguaggio “mitico”, cioè il linguaggio narrativo, quello al quale ricorrono le religioni per parlare del darsi e del rivelarsi del divino all'uomo. Il grande studioso Raffaele Pettazzoni (1883-1950) afferma che “il mito è una storia vera” non sul piano dei particolari linguistici ma su quello del significato. Il secondo: il carattere rivelativo del racconto fondatore. Mettendo narrativamente in scena la presenza dell'essere divino il mito dice chi è Dio e contemporaneamente dice chi è l'uomo e che cos'è il mondo del quale e nel quale l'uomo vive. Il terzo: il carattere unificante del racconto fondatore. La Bibbia non si compone solo del racconto fondatore (il racconto esodico) ma anche di altri libri che, per la tradizione ebraica, sono i Nebiim e i Ketubim (i libri storici, poetici, sapienziali e profetici nella tradizione cristiana). Quale il rapporto tra queste sezioni della Bibbia e il racconto fondatore? Secondo l'autore è che non si aggiungono né si giustappongono al racconto fondatore ma di questo sono la ripresa e l'approfondimento. Il quarto: la dimensione ermeneutica. Le pagine di questo saggio sviluppano soprattutto l'aspetto ermeneutico più che il dato esegetico. Esse si interrogano sul senso del racconto fondante. Compito ermeneutico non è sostituire al mito il logos, come se il primo fosse infantile e inadeguato a dire la verità di cui solo il secondo sarebbe capace, ma far emergere la potenza del logos custodito dal mito; altro, sia da quello della filosofia che da quello della scienza. Il quinto: il racconto fondatore ricostituito dall'evento neotestamentario. E' noto che il rapporto tra il Nuovo e l'Antico testamento è stato ed è difficile e controverso. La relazione proposta in queste pagine è quella secondo cui l'alleanza neotestamentaria è la restaurazione o ricostruzione dell'alleanza messa in luce dal racconto fondatore ebraico. Il saggio si conclude con un capitolo su Il Dio del silenzio che nasce dalla consapevolezza dello scarto irriducibile tra Dio e il linguaggio, il linguaggio che Dio rivolge all'uomo e il linguaggio che l'uomo rivolge a Dio. Ecco allora l'ultimo approdo del testo: il volto di Dio come Amore e come Dio del silenzio, perchè la parola definitiva di fronte a Dio è il silenzio adorante e operante. Ciò non esclude la parola di Dio e su Dio ma la sottrae all'idolatria che la perverte. B.L.M
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