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Anno XXXIV - n. 3 - settembre 2009

 

 

Rosy Bindi

 

Quel che è di Cesare

Intervista a cura di Giovanna Casadio

 

Editori Laterza, 2009 – pagg. 126

 

 

“In fondo la critica più radicale al potere assoluto e al cesarismo si trova nel Vangelo, perché a Cesare si restituisce la moneta e non si consegna mai la persona, la sua libertà e la sua dignità”.

Rosy Bindi in questo libricino di grande spessore racconta il suo impegno di cattolica che ha scelto la politica e va al cuore del principio di laicità. In un colloquio franco e diretto affronta le questioni cruciali della nostra democrazia. Scommette sul dialogo tra credenti e non credenti per superare reciproche scomuniche e afferma l’attualità del cattolicesimo democratico. Rilancia la dimensione etica della politica come servizio e ricerca del bene comune.

Riportiamo qui di seguito alcuni frammenti, scelti fra le tante risposte che dicono la qualità delle stesse: (per me la fede è) riconoscere e fondare l’esistenza su un’unica signoria che, questo è il paradosso cristiano, mi consegna alla mia piena libertà di coscienza  (pag. 8).

Se lo scopo della politica è quello di rendere ragione ai deboli e rendere forti le ragioni dei giusti, è evidente quale sia la distanza che il cristiano impegnato in politica misura tra ciò che fa e ciò che ancora attende di essere fatto (pag. 9).

 La responsabilità dei laici fu uno dei grandi doni del Concilio Vaticano II. Capimmo che essi realizzano il regno di Dio attraverso le cose del mondo, l’impegno nei vasti spazi della politica, dell’economia, della cultura, del lavoro (pag. 13).

All’albero della vita ci si avvicina con il senso del limite e non dell’onnipotenza. Noi non siamo i padroni della vita ma i custodi della vita, e questo atteggiamento mi pare fecondo anche per chi non è credente. Il custode infatti tratta le cose con lo stesso amore che avrebbe se fossero sue ma non le ‘spadroneggia’ proprio perché non sono di sua proprietà (pag. 35).

Non diversamente si esprimeva Simone Weil: ”Il dio che dobbiamo amare è assente”, ha piantato la sua tenda tra gli uomini ma ci lascia liberi alle nostre responsabilità. Spero che sia la meta del mio cammino ma non può essere la stampella del mio procedere inquieto. Guardo il cielo ma i miei passi poggiano sulla terra e non voglio perdermi o inciampare e la mia testa, anche se si fa guidare dalle stelle, deve vedere dove metto i piedi, scoprire il sentiero migliore. E un sentiero è buono se lo è per tutti (pag. 69).

A Barbiana, nella scuola di don Milani, c’è un cartello che dice “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da solo è l’avarizia”. Ecco, questa è la dignità della politica che riconosce la propria autonomia e i propri compiti (pag. 87).

Bisogna tornare al principio fondamentale secondo cui il ruolo della politica è quello di assicurare pari opportunità … ovvero affermare il principio più alto: se ciascuno è riconosciuto nella propria libertà e dignità c’è libertà e bene per tutti, ci sono opportunità per tutti (pagg.  105/106).

   
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