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Anno XXII - n. 1 - marzo 1997

 

 

Silvia Lagorio - Lella Ravasi Bellocchio - Silvia Vegetti Finzi

Se noi siamo la terra

Il Saggiatore, Milano 1996, pp. 128

 

L'immagine centrale che percorre e attraversa contemporaneamente i tre saggi delle autrici è l'archetipo della Madre che racchiude in sé una forza evocativa così potente da poter essere solo rappresentata in icona (le matres matutae, statuette d'argilla trovate a Capua, risalenti al VII secolo a.C.) e non pensata logicamente né detta verbalmente. A "dirla" però ci pensano le tre autrici del libro che riescono ad evocare in noi questa "magia delle origini", questa sacralità del simbolo materno che regna indisturbato, anche se misconosciuto, sulla nostra storia di uomini e donne. Il nostro quotidiano essere-nel-mondo, il nostro incessante e a volte dolo­roso "andare e venire", nascere e morire, provengono da un evento inenarrabile perché fuori e "altro" rispetto alla nostra logica razionale e alle coordinate spazio temporali. È il "femminile", la sua capacità di dare la vita e di toglierla, di nutrire o spegnere non solo il corpo ma anche l'anima, il mistero che ci sovrasta e che, esi­stendo da sempre, da sempre ci precede. Il suo regno appartiene più alla "logica" dei sensi, quella legata alla sfera biologica: una logica a volte cieca e irrazionale, non lineare ma contorta e per questo spesso incomprensibile. Tuttavia da sempre ci abita, abita il nostro "territorio" più profondo e nei sotterranei della nostra anima tesse le nostre vite e "fa destino". È necessario, allora, fare esperienza del perturbante, del un-heimlich, del non famigliare, di ciò che, nascosto, improvvisa­mente affiora e che noi, viaggiando a ritroso, dobbiamo rendere heimlich, conforte­vole, domestico. Una realtà inaccessibile che possiamo però rendere accessibile riconoscendoci in essa, riappacificandoci così con le nostre radici psichiche. Per fare questo difficile ma vitale lavoro è indispensabile un «recupero della materia, del corpo, della femminilità della natura, prevaricati rispettivamente dalla forma, dallo spirito del maschile, dalla cultura». La scienza trasformata nei suoi prodotti, quali per esempio la biotecnologia e la genetica, tenta costantemente di imposses­sarsi e di dirigere le "pratiche" che da sempre scandiscono la vita e i ritmi biologi­ci degli uomini: nascita, allattamento, vita e morte.

Saper "amare la madre" significa, invece, tornare a identificarsi con lei, conser­vare la memoria del materno dentro di noi e nello stesso tempo riuscire a indivi­duarsi come persone "originali" e separate e proteggere le sue, nostre pratiche, che sole ci rendono veramente uomini, veramente figli... veramente donne, «terra, cammino, polvere innamorata, polvere viva, che si mescola a tutte le polveri delle strade del mondo camminate da tutte e tutti coloro che sono venuti prima di noi».

Ramona Parenzan

   
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