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Anno XXV - n. 1 - marzo 2000

 

Maurizio Schoepflin

 

L’amore secondo i filosofi

 

Città Nuova Editrice, Roma, 1999, pag. 128

 

 

Cosa significa amore?

In quali eventi e occasioni lo possiamo incontrare?

Forse tutte queste domande sono insensate: l’amore non si lascia spiegare, semplicemente accade ...

Tuttavia molti e diversi sono i modi per “dirlo”.

Consiglio, quindi, a tutti coloro che sono stanchi della solita “chiacchiera” vacua ed insensata sulle cose d’amore la lettura di questa agile ed intensa antologia di filosofi.

Scopriremo così che “l’amore è povero e nel contempo audace e sagace” (p. 35), che “è un parto nella bellezza” (p. 36) e “passione dell’anima” (p. 41).

Ed ancora: che è “carità che si manifesta” (p. 44) e “sapiente silenzio” (p. 52).

Capiremo, poi, che “ogni amore è compassione” (p. 81) od anche “la realizzazione dell’unità della specie attraverso il sentimento” (p. 93).

Sapremo, inoltre, che l’amore “non può essere comandato” (p. 99) e che come tale “mira essenzialmente al supremo valore della persona dell’altro”. Ci accorgeremo, infine (anche se già lo sappiamo) che l’amore è “un’impresa realizzabile” e talvolta una “prigionia” (p. 114/115), ma anche “accoglienza d’Altri, ospitalità, Desiderio e linguaggio” (p. 117).

Auguro perciò a tutti, con le parole di S. Agostino, una buona lettura:

“Sia in te la radice dell’amore, poichè da questa radice non può procedere se non il bene” (ibi, p. 49)

Ramona Parenzan

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Anno XXV - n. 2 - giugno 2000

 

AA. VV.

 

Se il Giubileo si fa Vangelo ...

 

Ediz. Cittadella, Assisi, 1999

 

 

Fra la selva di testi sul Giubileo in cui è arduo districarsi, degno di rilievo risulta Se il Giubileo si fa Vangelo ... che, già nel titolo, suggerisce un taglio che non è certo celebrativo o prettamente documentaristico o storico ma piuttosto indica nel pellegrinaggio esistenziale il percorso che suppone un senso. L’uomo cerca la pienezza di vita e di felicità, l’Assoluto, per questo si muove e cammina ... il pellegrinaggio è cosa antica quanto l’uomo.

Il Giubileo vuole dirci la direzione sensata di quel cammino che l’uomo vuol fare per raggiungere (come dicevano i romei del primo giubileo del 1300 con papa Bonifacio) una vita senza colpa e senza pene. E questo è indicato in Levitico 25 e poi in Luca, in particolare, perché questo evangelista ha scritto un Vangelo che è un pellegrinaggio da Nazareth a Gerusalemme. Tutto il Vangelo indica questo cammino per compiere l’anno di grazia del Signore, in modo che la parola di Dio si incarni sulla terra e questa, nella sua totalità, partecipi del Regno di Dio ... perché il deserto torni ad essere giardino.

Mi piace applicare al Giubileo quanto A. J. Heschel dice del sabato: “A differenza del giorno dell’espiazione, il sabato non ha finalità esclusivamente spirituali. E’ un giorno dall’anima come del corpo; il benessere e il piacere sono parte integrante dell’osservanza del sabato. La benedizione deve comprendere l’uomo nella sua interezza, con tutte le sue facoltà” (cfr. Il sabato, Ed. Rusconi, Milano 1972, pag. 31). Questo radicamento del Giubileo nella totalità umana in tutti i suoi passaggi è la nota peculiare del nostro testo che merita di essere evidenziata perché aiuta a superare le cerimonie, ad andare oltre gli incensi e i sacrifici.

Se si vuole, in qualche modo, entrare in questo discorso del Giubileo come risposta sociale, bisogna ricondursi alla matrice biblica, e, se possibile, ancorarla al “bisogno dell’uomo”, al “grido del povero”, alla “sofferenza del popolo”: chi convoca è il povero con la sua esigenza di giustizia e non una data convenzionale. Allora Giubileo come umanizzazione di ciò che è disumano (non avere terra / sfida della riforma agraria), come remissione dei debiti (macroscopico quello che affama senza speranza molti Paesi del Terzo mondo), come utilizzo delle risorse naturali (che non può diventare saccheggio scomposto e indiscriminato), come annuncio di liberazione anche a quella categoria di persone che “ci interpellano ancor più profondamente come cristiani inseriti in una comunità: i divorziati risposati e gli ex preti” che si trovano in una situazione di emarginazione nella Chiesa.

Se in campo internazionale il Giubileo solleva problemi cruciali, ancor più in radice pone il problema sul nostro modo di essere Chiesa. Per Israele la solidarietà verso i poveri, gli emarginati, gli schiavi era come il riflesso dei rapporti nuovi che l’Alleanza aveva creato all’interno del popolo. I membri della prima comunità cristiana di Gerusalemme ritenevano di essere stati chiamati a vivere fino in fondo le prescrizioni dell’anno sabbatico (Atti 2,42-47). Si pone dunque una domanda cruciale: il nostro essere Chiesa crea tra noi rapporti nuovi tali d scalfire il nostro individualismo? Le nostre strutture ecclesiali sono strutture di comunione e non favoriscono piuttosto la consumazione individuale di beni sacramentali senza incidere nella nostra vita al di là dei buoni (ma spesso marginali) sentimenti di compassione e di umanità? La mancanza di un vero senso comunitario, quale è presupposto dal Giubileo, rappresenta forse la causa di tanti errori del passato, di cui si chiede spesso perdono senza individuarne le cause, con il pericolo di ripeterli ancora nel presente e nel futuro.

Maria Rosaria Gavina

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Anno XXV - n. 3 - settembre 2000

 

 

Benoit Garceau

 

La via del desiderio

 

Ed. Cittadella, Assisi, 2000, pp. 107, Lit. 16.000

 

 

Del “desiderio”, in linea di massima, non abbiamo un’idea smagliante perché lasciarsi andare a desiderare crea disagio e imbarazzo. Il desiderio, per un’equazione inconscia, fa subito affiorare l’idea di istinto che, per definizione, è una percezione programmata per cui, immediatamente, scatta l’associazione: liberare i desideri = spontaneismo = arbitrarietà = irresponsabilità. Consideriamo il desiderio come forza oscura e bruta che, se lasciato a briglia sciolta, ha la capacità di soverchiare la logica razionale arrivando persino a inibire scelte intelligenti. Confinato ai margini della vita razionale, il desiderio è riconosciuto come sorgente endogena di energie illimitate, alle quali il soggetto può affidare l’espressione più immediata della propria vitalità. A fronte di questa altalena, occorre rifare i conti con il desiderio, perché è soltanto questo che può mettere in movimento l’intero apparato psichico. L’autore di questo libro, intenso e affascinante, ha accettato la sfida e porta il lettore a riconoscere la pertinenza antropologica e la capacità di dialogare con la totalità della persona umana: là dove i bisogni si configurano nelle pulsioni vitali più elementari e là dove l’universalità dei principi (il Bene, il Vero, il Bello) provoca l’intelligenza ad appassionarsi alle ragioni del bene. Il desiderio ci accompagna in ogni momento della vita nell’incontro con noi stessi, con gli altri, con l’Altro. “Esplorare questa immensa aspirazione del nostro essere, arrivare a definirla, cercare come risvegliarla, dispiegarla, coltivarla, è quanto si propone questo saggio, come una sorta di viaggio interiore con l’intento di conoscere lo Spirito che è in noi e che ci rende liberi” (pag. 17).

Maria Rosaria Gavina Grossi


    

 

 

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Anno XXV - n. 4 - dicembre 2000

 

 

Chaim Potok

In principio

Ed. Garzanti (Narratori moderni), 2000, pp. 616

 

"Sii paziente, David. Il Midrash dice: 'Gli inìzi sono sempre difficili'. Non puoi in­ghiottire tutto il mondo in una volta sola. "

In questo libro di Potok, uno dei massimi scrittori contemporanei, è celata la radice ebraica dello scrivere, il bisogno di realtà, l'esigenza di raccontare il Miste­ro. È attraverso gli occhi e le curiosità di un bambino, David Lurie - il protagoni­sta e la voce narrante del romanzo - che la realtà si svela, frapponendo ad una dimensione comunitaria una sfera privata tra il sacro e il magico, in cui il vento è fatto dei corpi degli angeli che si muovono, ed il mondo è un bianco latte sotto il lenzuolo. Caduto sulle scale di casa in braccio alla mamma al rientro dall'ospe­dale, pochissimi giorni dopo la nascita, David si ritrova il setto nasale deviato e per questo costretto a letto da una salute molto cagionevole. Lunghi periodi di debilitazione causano in lui una spossatezza più psicologica che fisica, aggravata da due incidenti - la morte di un canarino e di un cane - attribuiti alla sua sba­dataggine, alla sua "cattiveria".

Per un altro incidente David vede una fotografia che non dovrebbe vedere nella casa del signor Bader, amico del padre, ritraente l'uomo insieme ad altri con pistole e coltelli, sullo sfondo di una foresta e su un terreno coperto di neve. Seb­bene gli venga continuamente ripetuto che la fotografia "non esiste" perché frutto dei deliri febbrili, il bambino non riesce a smettere di fare domande e capi­sce col tempo, che esistono associazioni ufficiali destinate a raccogliere fondi per portare negli Stati Uniti i parenti e gli amici rimasti in Europa ma che lavorano parallelamente ad altri gruppi clandestini, di cui nulla si deve sapere. David cre­scendo comprende la storia dei suoi genitori e la loro atavica paura, cresciuto all'ombra della figura dello zio, del quale porta il nome, ne sente il peso e se ne allontana.

Con l'adolescenza per David arriva la curiosità di conoscere la cultura dei goyim, i non ebrei, la necessità di leggere la loro Bibbia oltre che la Torah, per comprendere le ragioni di un antisemitismo che anche nelle strade di New York si fa sentire con ferocia. E persino tra i più piccoli, nei loro giochi sui marciapiedi. Mentre imperversa una crisi economica internazionale, l'avvento del nazismo, il genocidio della famiglia paterna e materna, per David la sola via d'uscita è fuggi­re dal settarismo religioso, frequentando una normale università. Scelta che com­porterà una drammatica rottura con la tradizione e il passaggio al mondo dei goyim: solo così potrà finalmente iniziare un nuovo viaggio alla ricerca delle pro­prie radici.

Maura Cadei

   
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