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Anno XXIX - n. 1 - marzo 2004

 

 

Bruno Forte

L’Uno per l’Altro

Morcelliana, 2003, pp.201

 

È possibile un’etica senza Dio? Se sì, dove fondare l’esigenza assoluta di fare il bene e di evitare il male, dal momento che non esisterebbe alcun Assoluto a cui ancorarla? O il bene si giustifica da sé e si impone con evidenza tale da non richiedere ulteriori motivazioni? E il male? È anch’esso così evidente da non supporre alcun imperativo categorico, rispetto a cui porsi come controcanto, negazione ostinata maliziosamente beffarda del “cosiddetto bene”? Miriadi di voci in secoli di storia hanno risposto a queste domande in una stessa direzione: il bene c’è ed è assoluto; esso si identifica anzi con l’Assoluto stesso, di cui è il volto attraente, lo splendore irradiante, l’esigenza amabile, il dono perfetto. Il male è la resistenza opposta a questo richiamo, l’appassionato permanere nella negazione , la lotta vissuta in nome di una causa falsa , quella della propria libertà eretta come assoluto contro l’Assoluto.

E’ con l’emergere moderno del valore centrale della soggettività che cambiano anche i termini del problema morale: dall’eteronomia- in cui si vorrebbe costringere tutto il complesso accennato di un’etica della fondazione oggettiva ed assoluta- si intende uscire per passare nel mondo dell’autonomia, verso i pascoli di una vita morale emancipata ed emancipante dove il coraggio di esistere autonomamente sia esteso dal conoscitivo “sapere aude!” al decisionistico ”libere age!”.

Ben presto, tuttavia, la coscienza dell’impossibilità di un’etica tutta soggettiva si impone alla riflessione dei moderni: che bene sarebbe il bene che fosse tale solo per me? E in nome di quale criterio valido per tutti sarebbe da evitare il male? Non è il confine tra la mia libertà e l’altrui anche il limite di ogni autonomia?

È a partire dal crogiuolo di queste domande che nasce questo libro: Il suo tema è quello della fondazione dell’etica, in un’epoca in cui il passaggio dal fenomeno al fondamento appare tanto necessario , quanto spesso evaso; la sua ricerca si muove fra le due sponde del rifiuto di un soggettivismo assoluto e quello di una Legge così alta ed astratta da essere straniera alla più profonda nostalgia del cuore umano. Dialogando con alcune delle voci più significative che hanno fatto propria la stessa domanda- Vico, Alfonso de Liguori, Kant, Drey, Rosmini, Bonhoeffer, Guardini, Levinas, Mancini, Vitiello- il libro rintraccia i segni di una risposta che corrisponda all’altezza della questione: è possibile un’etica senza Trascendenza?

Etica della trascendenza è corrispondenza all’altro secondo l’esigenza del comandamento nuovo: ”Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi” (Gv 13,34). L’essere l’uno per l’altro è retto da quel “come io ho amato voi”. L’etica della trascendenza lascia trasparire la trascendente sorgente del Dono …

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Anno XXIX - n. 2 - giugno 2004

 

 

AA. VV.

 

Il desiderio e l'identità maschile e femminile. Un percorso di ricerca

 

Franco Angeli, Milano, 2004, pp. 300

 

( Il libro è il risultato di un progetto voluto e finanziato dalla Commissione Pari Opportunità della Provincia di Brescia e realizzato dal Consultorio Familiare Onlus di via Milano 16 di Brescia. )

 

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Tra desiderio e identità: chiamati alla relazione

Ho preso in mano un libro - frutto di un cammino e di un'esperienza - e mi sono lasciato guidare non tanto da ciò che materialmente vi è scritto (peraltro assai interessante) ma da ciò che man mano il testo evocava. Già le parole-chiave mettevano in moto qualcosa di profondo: desiderio, identità, relazione, corporeità, maschile e femminile, dialogo, reciprocità...

Mi sono ritrovato a pensare tutto questo alla luce di una parola sulla bocca di Gesù: "Ho sete". La dice anzitutto ad una donna, seduto sull'orlo di un pozzo nell'ora più calda del giorno (Gv 4,8) e la ripete appeso al legno maledetto (Gv 19,28), rivolgendosi non si sa bene a chi - se stesso, il Padre, noi umani...? Gesù, la maschilità esemplare, esprime la sua struttura profonda di desiderio in relazione alla femminilità: quella della donna (delle donne) incontrata e quella di se stesso, identificatosi nell'ora della croce con la partoriente (Gv 16,21).

Il percorso di ricerca e di esperienza distillato nel libro mi ha collocato infatti dalla parte del femminile, interrogando la maschilità attraverso l'invito ad una reciprocità che diviene apprendimento di un'arte (custodita prevalentemente dalle donne?): quella di dare un nome al proprio desiderio non in modo solipsistico ma nell'avventura splendida e difficile della relazione. Il dialogo presuppone e insieme dà fondamento all'essere in due, momento critico e rivelativo della stessa creazione sottoposta alla verifica del Dio che l'ha voluta: "Non è bene che il terrestre sia solo". L'atto del creare, che separa, apre la ferita insanata e insanabile del desi­derare collocandoci nella spaccatura che ci genera di continuo. E se fossimo, a somiglianza di Colui che donando la vita dà alla vita nell'acqua e nel sangue (Gv 19,34), partorienti/partorite dal proprio desiderio decifrato e reso reciproco all'alterità che ci de-finisce oltre la finitudine?

Se, come sembra dire la vicenda della donna di Samaria incontrata da Gesù, la sete si fa principio di relazioni consumate una via l'altra nel tentativo patetico di suturare la ferita del desiderio? Gli sguardi sul desiderio, che il libro racconta, non sono solo differenti: sono fatica e disagio, insicurezza e crisi. Meglio non avere sete? I discepoli, raggiunto Gesù fermo al pozzo, si meravigliarono che parlasse con una donna (Gv 4,27);anche se non hanno il coraggio di interrogarlo: paura di interrogare il loro desiderio, di mettere a nudo un'identità religiosa identificata con quella maschile ("Ti ringrazio di non essere nato donna", prega il pio israelita maschio, tre volte al giorno)? Nel testo si cita un verso di E. Dickinson: "Ed avevo quell'andatura incerta / che chiamano esperienza"; ma la stessa poetessa afferma che il passo ulte­riore è irrevocabile. Forse Gesù vuole consegnare alla donna il segreto non per non andare più al pozzo ma per riappropriarsi della sua sete.

Che dire, al dunque, sul libro che mi è venuto tra le mani? Chi vuole leggerlo, lo legga; ne trarrà profitto. Da parte mia penso inviti, in qualche modo, a continuarlo come ciascuno crede: non per aggiungervi pagine ma per declinare vita. "Maschio e femmina li creò" (Gn 1,27): non si tratta di un'antropologia duale già tutta definita e bloccata, quanto piuttosto di un'antropologia vocazionale che dal desiderio approda all'identità attraverso la relazione (e da qui riparte per il cammino inverso). Diventa ciò che sei, per essere ciò che diventi: pro-vocato dall'alterità, nel gioco rischioso e bello della reciprocità. La prima cosa che mi ha incuriosito, del libro, è stato il disegno di copertina (una sorta di schizzo schematico, dove a partire dal maschile e femminile altre parole e frecce si collegano e si intersecano). Testimonia la fatica del percorso e la volontà tuttavia di tracciare un senso: ma non è questa la vita?

Dario Vivian

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Anno XXIX - n. 2 - giugno 2004

 

Giovanna Cavalletti

 

Laura

 

Storia di una bambina piccolissima
e della sua gioia di viv
ere

 

Le maschere - Marsilio editore pagg. 76

 

 

È un piccolo libro prezioso, perché in questo tempo in cui in tutti i paesi occidentali le nascite stanno calando, rappresenta un inno alla vita e un invito pressante a sapersi donare con generosità supe­rando condizionamenti, paure ed egoismi.

Sono poche pagine ma ricchissime perché raccolgono prima di tutto la testimonianza che la vita è un dono, anche quando si nasce di 560 grammi di peso, che va ricevuto e accolto con tanto amore, come ci dicono prima la mamma e poi il papà, che è un pediatra infettivo-logo dell'Ospedale Bambin Gesù di Roma.

Oltre alla esperienza vissuta con passionalità ed espressa con grande sincerità dai due genitori di Laura, dopo l'introduzione di co­pertina del coordinatore del Dipartimento di Neonatologia di Roma, c'è l'intervento di "Il cambiamento e la trasformazione' della psicologa che dà la chiave di lettura dell'esperienza di Giovanna Cavaliet­ti, che reagisce violentemente quando sente parlare della figlia come di un "aborto" e ci informa quanto ci sia ancora da fare per cambiare mentalità e superare pregiudizi su una materia affrontata e approfon­dita solo in alcuni centri.

Segue poi l'intervista ad un neonatologo, che fornisce il qua­dro della situazione delle Terapie Intensive Neonatali, i cui centri di eccellenza sono in prevalenza in Friuli, Veneto e Lombardia, e ci fa conoscere la tecnica del "marsupio", cioè del contatto "pelle a pelle" tra madre e figlio e sui conseguenti benefici.

Il libro è completato da un'appendice relativa ai TIN, centri di terapia intensiva neonatale, ancora troppo scarsi in Italia, e all'elenco delle associazioni di genitori di bambini prematuri, sparse nel Centro Nord, che possono rappresentare utili punti di riferimento, oltre a stimolarne la creazione di molti altri specie nel Sud Italia.

Siamo grati a Giovanna Cavalietti, perché attraverso le sue pagine ha messo in moto un movimento di sensibilizzazione di cui c'era bisogno e la prova è che il libro in poche settimane è andato esaurito.

Franco Franceschetti

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Anno XXIX - n. 3 - settembre 2004

 

 

Azar Nefisi

Leggere Lolita a Teheran

 

Adelphi 2004

 

 

«Guardandomi indietro, mi stupisco ancora di quanto abbiamo imparato, e senza nemmeno accorgercene. Nabokov lo aveva descritto, quello che ci sarebbe successo: avremmo scoperto come il banale ciottolo della vita quotidiana, se guardato attraverso l’occhio magico della letteratura, possa trasformarsi in pietra preziosa». Questa citazione del testo indica il punto di arrivo di un percorso che l’autrice compie insieme a un gruppo di giovani donne iraniane, studenti del suo corso di letteratura all’università. Quando per lei la situazione si fa insostenibile, si ritira dall’insegnamento e invita alcune di loro a continuare la ricerca e la scoperta, in semiclandestinità, a casa propria.

Siamo a Teheran, negli anni successivi alla rivoluzione di Khomeini, gli anni duri, violenti e oppressivi della repubblica islamica. Integralismo esasperato, predominio maschile assoluto e la guerra sanguinosa e fanatica Iran Iraq (1980-1988) rendono difficilissimo il vivere quotidiano. Sono soprattutto le donne a subire le conseguenze più pesanti. In particolare queste donne, che, come l’autrice, hanno vissuto e studiato lungamente all’estero, oppure le più giovani che hanno assimilato cultura e modi di vivere più disinvolti nel periodo immediatamente precedente. Alcune di loro hanno anche lottato per questa rivoluzione e per le speranze che essa aveva acceso. La delusione e il rimpianto diventano a volte ribellione, altre volte sottomissione. Qualcuna passa attraverso il carcere, la violenza diretta e quella indiretta delle perquisizioni quotidiane, delle esclusioni, delle imposizioni. Il vestito, il velo, il modo di camminare, di gesticolare, il tono di voce e il sorriso, la vivacità dello sguardo, tutto può essere motivo di condanna. Di questo è fatto il «banale ciottolo» della loro vita.

Queste giovani donne non hanno neppure la possibilità di rifugiarsi nei ricordi di tempi più sereni, costruttivi e liberi come può fare la generazione precedente che ha vissuto esperienze diverse. Per loro il futuro ha solo questa oscurità alle spalle. Ma la letteratura può dare un fondamento diverso, perché fornisce un «occhio magico». «Un grande romanzo acuisce le vostre percezioni, vi fa sentire la complessità della vita e degli individui, e vi difende dall’ipocrita certezza nella validità delle vostre opinioni, nella morale a compartimenti stagni … ».

Il libro muove intorno a questa esperienza e ne illumina il contesto. È un cammino al femminile, dove gli uomini sono presenti come coprotagonisti, compagni di strada, comunque, nel sentire di queste donne, straordinariamente libere nel giudizio, spesso ironico fino al sarcasmo. La letteratura è un altro mondo che si apre davanti agli occhi. Non sempre, anzi quasi mai, ciò avrà conseguenze pratiche positive. ma cambierà il punto di vista di chi vi si inoltra.

Leggere questo libro è come attraversare un’esperienza, forse perché è proprio ciò che avviene. Ancora una volta vi si esprime il grazie  alla letteratura che ha la forza di trasformare dal profondo l’esistenza. Ciò che ha significato leggere Lolita a Teheran viene affidato alle parole di una delle protagoniste a conclusione del libro. «Dell’implacabile monotonia della nostra vita quotidiana non è cambiato quasi nulla. Io invece sono cambiata, in un certo senso. Ogni mattina, quando sorge il solito sole, quando mi sveglio e mi metto il solito velo davanti al solito specchio per uscire e diventare ancora una volta parte di quella che chiamano realtà, penso anche a un’altra “me”, nuda sulle pagine di un libro, fissa e immobile come una statua di Rodin. E così rimarrò finché mi terrete nei vostri occhi, cari lettori»

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Anno XXIX - n. 4 - dicembre 2004

 

 

Bernadette e Bernard Chovelon

 

L’avventura del matrimonio

 

Ed. Qiqajon – Comunità di Bose, 2004

 

 

La coppia vive, all’inizio del suo costituirsi, un avvenimento straordinario, magico, ovvero l’innamoramento. L’altro è “tutto”, “l’unico”; la relazione, il rapporto è la cosa più importante che esiste in quel momento. L’altro non è visto come è in realtà, ma è circonfuso di un alone di luce che si sprigiona dalla sua persona e che il desiderio di cui è oggetto gli fa emanare. Anche i difetti e i limiti sono visti come aspetti trascurabili, sfuocati e, comunque, tratti interessanti e “particolari”.

Platone nel Convito scrive: “Un giorno Zeus, volendo castigare l’uomo senza distruggerlo, lo tagliò in due. Da allora ciascuno di noi è simbolo di un uomo, la metà che cerca l’altra metà, il simbolo corrispondente”.  Nella Bibbia l’amore è descritto con lo stupore appagante di Adamo di fronte a Eva e viene cantato come una bella realtà misteriosa nel Libro dei Proverbi: “Tre cose sono per me misteriose, ma una quarta soprattutto non so spiegare: il sentiero dell’aquila nell’aria, il sentiero della serpe nella roccia, il sentiero della nave in alto mare, il sentiero dell’uomo in una giovane” (Prov 30, 18-19).  D’altra parte, quello che psichiatricamente è una ‘piccola follia’, è anche paradossalmente un segno di salute.  “La capacità di innamorarsi è segno di vivacità, è segno di buon funzionamento della mente… Mantenere viva negli anni la capacità di innamorarsi è un fatto molto positivo (“Chi sono? Chi sei?”. … Solo l’amore, dice Drewermann, ridà la giovinezza… l’amore è l’unica forza efficace contrapposta alla noia.

Quasi a sfatare i luoghi comuni –logori e consunti- ma che proprio perché banali dilagano con successo, ad arginare dunque e contrastare frasi e logiche del tipo “matrimonio tomba dell'amore”, il testo di B. e B. Chovelon propone l’amore e l’amore del, e nel, matrimonio come un’AVVENTURA: “Chi intraprende una traversata di questo tipo ha preso una decisione, ha fissato una retta. Per questo è necessaria ferma convinzione, volontà e fede. Ma la navigazione presuppone anche altri due assi nella manica: l’arte e l’energia. L’arte: un’abilità, una saggezza pratica, uno stile di comportamento; l’energia: uno spirito, un dinamismo, una ricchezza interiore da alimentare”.

Questo testo, come gli autori specificano,  è una guida pratica e spirituale che raccoglie le indicazioni provenienti dall’esperienza. E’ un percorso all’interno dell'amore umano vissuto nel matrimonio che ne mette in luce la complessità, la ricchezza sempre nuova, il fiorire continuo di luci e ombre, il rincorrersi di esperienze gioiose e drammatiche nel divenire quotidiano della coppia.  Mette in condizione di inseguire il muoversi conscio e inconscio dell'animo umano sotto la pressione del sentimento amoroso e fa cogliere, al lettore attento, i vari colori, i toni diversi,  l’intrecciarsi imprevedibile di sensazioni, desideri, intuizioni che si annidano e abitano il cuore umano. Così ci è parso di cogliere lo spessore dell'amore, le stagioni del cuore, i filoni preziosi che si celano nel rapporto amoroso e ci siamo sentiti accompagnati in esplorazioni sempre più profonde, fino a giungere nella regione interiore dove il tempo approda all’Eterno, il particolare all’Universale, l’umano al Divino.

Nell’avventura appassionante che sa essere la lettura di questo libro (già di per sé testimonianza convinta e palpabile di quell’altra Avventura di cui narra), ci è dato anche di scoprire che quanto la fede cristiana propone, leggendo la Parola di Dio, è l’esplicitazione di ciò che già si trova nel profondo dell'animo umano.  “Per chi crede nell’agape, cioè nell’amore che sgorga dal cuore di Dio, le prove possono essere dure, sembrare lunghe, ma è sempre possibile ripartire da capo. Non è mai troppo tardi”. La vita di coppia appare come una scoperta, un rivelarsi sempre più luminoso della segreta e instancabile tensione dell'uomo come il sorgere del sole all’orizzonte per un giorno sempre nuovo.

Maria Rosaria Gavina

   
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