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Anno XXVI - n. 1 - marzo 2001

 

 

Sylvie Germain

 

Hetty Hillesum. Una coscienza ispirata

 

Ed. Lavoro, 2000, pp. 256

 

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Joseph-Marie Ferriti - Gustave Thibon

 

S. Weil - Come l'abbiamo conosciuta
Ed. Ancora, 2000, pp. 172

 

"Manda, Signore, ancora profeti, uomini certi di Dio, uomini dal cuore in fiamme" pregava p. David Maria Turoldo e questa invocazione - fatta propria da chissà quanti uomini - sembra aver avuto risposta nelle voci, personalità, testimonianze di vita vissuta di due figure che hanno animato il pensiero del Novecento e che, pur nella diversità dei loro cammini personali, non possiamo non accomunare perché le loro biografie spirituali hanno spesso dei tratti paralleli e sono contraddistinte da straordinarie affinità elettive. Si tratta di H. Hillesum e S. Weil, due pensatrici "fuoriclasse" non riconoscibili in un ruolo o in un'unica vocazione dal momento che seppero affrontare le situazioni più diverse. "Sorelle d'anima", però, accomunate da cuore ardente, passione per la verità, alta tensione verso un vivere "estremo" e da radici ebraiche. Capaci di pensare "in proprio" e agire da sole, le distinse una forte libertà da ideologie e la capacità di dare un apporto vitale ed indispensabile al proprio tempo e alle persone intorno a loro a partire dalla passione per il mondo e dalla passione di capire.

Questi due testi che le riguardano e che segnaliamo vivamente all'attenzione dei lettori hanno due sottotitoli (S. Weil: "come l'abbiamo conosciuta"; H. Hillesum: "una coscienza ispirata") che indicano il tenta­tivo riuscito da parte degli autori di ripercorrere gli aspetti salienti del percorso biografico, intellettuale ed interiore di ciascuna, la volontà di interrogarsi sull'eredità che hanno trasmesso con il loro coraggio e quella di affrontare le questioni fondamentali dell'esistenza. Le loro vite, segnate in vario modo dagli orrori della guerra e della disperazione, ci offrono, attraverso le pagine di questi due testi, le figure di due persone vive, intense, le cui alte risonanze sono state profetiche perché il loro messaggio, costituito non solo dalle parole che hanno pronunciato e scritto ma anche dai gesti e dagli avvenimenti della loro vita, ha fatto sì che la loro esisten­za si trasformasse in segno.

Maria Rosaria Gavina

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Anno XXVI - n. 2 - giugno 2001

 

 

Jean-Luc Nancy

 

Essere singolare plurale

 

Einaudi, Torino, 2001, pag. 131

 

 

Venite

Venite, parliamo tra noi.                                "Ego sum = ego cum" [...] "singolare plurale:
Chi parla non è morto,                                   cosicché la singolarità di ciascuno è indissociabile
già tanto lingueggiano fiamme                       dal suo essere con tanti, e poiché in effetti, in generale,
intorno alla nostra miseria.                             una singolarità è indissociabile dalla pluralità".
Venite, diciamo: gli azzurri,
venite, diciamo: il rosso,                                  
J.-L. NANCY, Essere singolare plurale, pp. 46-47
sì ascolta, si tende l'orecchio, sì guarda,
chi parla non è morto.

G. Benn in Aprèslude, Einaudi, 1966


    

Da tempo alcuni filosofi hanno preannunciato la possibilità di una "morte della filosofia", il che significa anche la fine di un certo modo di filosofare, di vivere la filosofia, e quindi di esistere. Nel libro di Nancy, invece, si apre la via per una "nuova filosofia", per un pensiero che "si fa" con il mondo che viviamo, che accade nel mondo che noi siamo.

Non si tratterebbe, così, di una filosofia dell'avvenire ma di un pensiero del presente, un pensiero sorgivo e diveniente, decostruttivo-costruttivo, comunitario-singolare nello stesso tempo.

Ripensare al senso dell'essere significa anzitutto ripensare l'essere a partire dal con dove l'essere cessa di essere un nome disincarnato, una sostanza anonima ed astratta per divenire il luogo dell'esistenza reale, l'intreccio vivo e differenziato delle singolarità plurali.

Nulla precede l'esistenza: l'origine stessa non è altro che l'insieme danzante delle singolarità dove tutto e tutti si espongono, si toccano, si distanziano e "fanno mondo".

Si avverte, allora, l'importanza del linguaggio o meglio della pluralità dei linguaggi frutto di molteplici incontri, urti, shock, battiti tra le singolarità plurali.

Si avverte anche la necessità di far problema circa una nuova etica fondata sulla coessenza, sulla convivialità, sulla curiosità e sulla fiducia e l'abbandono agli altri (cf. J.-L. Nancy, L'essere abbandonato, Quodlibet, 1995).

Se, infatti, c'è un mondo, questo è grazie al tratto e alla spaziatura che unisce e differenzia "me" e le altre singolarità. Diviene, quindi, necessario un nuovo pensiero riguardo al "politico", alla città e alla comunità.

Ma anche un pensiero che faccia spazio, forse per la prima volta nella storia della filosofia, all'amore e alla relazione ... diviene necessaria una filosofia degli affetti.

"... Così, l'amore è l'abisso tra il sé e il sé, è 'l'affetto' o il 'prendersi cura' di ciò che all'origine sfugge o si manca: consiste nel prendersi cura di questo ritrarsi e in questo ritrar-si. Per cui questo amore è 'carità': è valutazione della caritas, del costo o del valore estremo, assoluto e quindi inestimabile dell'altro in quanto altro, cioè in quanto sé-ritratto-in-sé. Questo amore definisce il costo infinito di ciò che è infinitamente ritratto: l'incommensurabilità dell'altro" (ivi, pag. 108).

Ramona Parenzan

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Anno XXVI - n. 3 - settembre 2001

 

 

Silvana Canzi Cappellari e Franca Ciccòlo Fabris (a cura di)

 

 

Sul Confine

 

Gli ultimi anni di don Germano Pattaro

 

EDB, Bologna 2001, pp. 184.

 

 

Segnaliamo questo libro con commossa riconoscenza verso coloro che ne hanno resa possibile la pubblicazione, perché abbiamo in esso riconosciuto il volto autentico, quello del cuore e della fedeltà totale a Cristo, di don Germano.

Questa rivista non esisterebbe se don Germano non ci avesse accompagnati per lunghi anni nella riflessione e nella ricerca. Per i lettori che l’hanno conosciuto sarà quindi un momento di ‘grazia’. Ma anche per chi “non ha avuto la fortuna di vederlo dal vivo, con i suoi occhi di carne” potrà diventare, come afferma in postfazione Angelo Casati, una sorpresa, una dolce sorpresa... È (la sua) una teologia che come la Bibbia diventa racconto e storia, ti prende, sei messo a confronto, non con le definizioni, ma con la vita”. Il libro è composto essenzialmente dalle lettere che negli ultimi dieci anni della sua vita don Germano ha scritto a suor Franca che l’aveva conosciuto accogliendolo a Londra, prostrato e impaurito dalla malattia che l’avrebbe portato alla morte: è quindi un libro biografico perché ci parla della sua vita; è un libro di amicizia perché racconta dell’incontro straordinario tra questa suora e don Germano; è un libro di spiritualità perché nella malattia Germano Pattaro viene portato sul confine dell’esperienza interiore con Dio; è un libro di ecumenismo perché attorno a don Germano è fiorita la comunione nonostante la divisione; è un libro di umanità perché scritto da un gruppo di amici che vogliono dire ad alta voce quanto da don Pattaro hanno ricevuto.

B. C. M.

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Anno XXVI - n. 4 - dicembre 2001

 

 

Carmine Di Sante

 

L'io ospitale

 

Editrice Lavoro/Esperienze, Roma-Fossano 2001

 

 

Questo libro, tipograficamente simpatico ed agile, apre un nuovo orizzonte del pensare e un modo "altro" di vivere le relazioni. L'idea di fondo è che "se la grandezza della modernità è nell'avere rivendicato la sovranità dell'io e la sua pretesa indipendenza, la saggezza biblica porta a cogliere che la verità sta altrove, nel dover attendere tutto dagli altri". Da questo nucleo mi sembra che parta e si distenda, scandita da una logica insieme lucida e penetrante, la riflessione dell'Autore che riecheggia, dandone un'interpretazione originale e intelligente, il pensiero del filosofo Lévinas di cui si dichiara discepolo ed estimatore. Due interrogativi sollecitano il cammino riflessivo.

L'uomo e la donna, accogliendo l'alterità divina, vengono contratti, diminuiti, o allargati e sottratti ai vincoli? La risposta è che "quando l'io accoglie e ospita Dio, viene liberato dall'incatenamento di sé. Pensare che la strada dell'autenticità sia l'autoaffermazione e l'autarchia dell'io, per la Bibbia è la radice stessa dell'alienazione dell'esistenza umana". Come affrontare ed oltrepassare l'individualismo, che produce nell'uomo la soggettività padronale ed ostacola così la costruzione della comunione e della condivisione? L'autore sostiene che si deve recuperare il senso dell'«estraneità» "che consiste nella interdizione di credersi maestri e possessori della terra e proprietari dei suoi beni e che si esprime nell'uscire continuamente dal cerchio del proprio io per incontrarsi con quello dell'altro che è incessante stimolo e risveglio". A questo esito il testo perviene attraverso un argomentare biblico e filosofico serio, denso e, nello stesso tempo, trasparente e sempre comprensibile. Un pregio importante per un libro come questo, che ha una palese valenza educativa e tende a schiudere il lettore a nuove e liberanti pro­spettive.

Battista Borsato

   
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