Anno XXXVIII - n. 3 - settembre 2013

EDITORIALE

L’autentica sventura è soffrire separatamente,

come volgendosi le spalle, quando non si avverte più

nel male quella fraternità, quell’intimità sofferta

che ha la capacità di togliergli la spina profonda.

                                                                  Emmaniel Mounier

Nell’indifferenza non si dà speranza: dobbiamo

combatterla per costruire un futuro di speranza.

          Elie Wiesel

 

Ci sono nel nuovo, straordinario, modo di esprimersi di papa Francesco parole che ricorrono spesso e tra queste gioia, tenerezza, misericordia, perdono, carità, giustizia e povertà.

Sono parole che appartengono anche al vocabolario della coppia e della famiglia, anzi nella sponsalità e nella genitorialità affondano le loro radici: per questo ci è sembrato di poter improntare ad esse questo numero di Matrimonio, nella linea della riflessione sulla povertà che caratterizza quest’annata.

“Finalmente abbiamo un pastore che invece di parlare di principi non negoziabili… o condannare «comportamenti devianti»… ci dà una buona notizia, una buonissima notizia. Quel pastore è il papa Francesco, e la buona notizia, l'«evangelo»… consiste nel fatto che Dio è «solo misericordia»” scrive Raniero La Valle.

E misericordia rinvia immediatamente a perdono.

Luisa Solero ci ricorda che: “Il perdono è un dono, è la restituzione all’altro della sua dignità, perché egli possa continuare ad essere figlio e fratello, persona degna di essere amata”.

C’è la tentazione, e l’abbiamo avvertita nelle parole di alcuni critici di papa Francesco, di contrapporre misericordia e perdono a giustizia, ma quanto scrivono Raniero La Valle, Luisa Solero e Giuseppe Ricaldone ci aiuta a superare questa apparente contraddizione, distinguendo il nostro “mestiere di uomini” dal “mestiere di Dio” (per usare un’espressione cara a d. Germano Pattaro, che utilizzava la parola “mestiere” sottolineandone la nobiltà).

Questa distinzione attiene anche alla Chiesa, come ben espresso da Papa Francesco nella sua lettera a Eugenio Scalfari (Repubblica, 11 settembre): “La chiesa è chiamata a seminare il lievito e il sale del Vangelo, e cioè l’amore e la misericordia di Dio, che raggiungono tutti gli uomini, additando la mèta ultraterrena e definitiva del nostro destino, mentre alla società civile e politica tocca il compito arduo di articolare e incarnare nella giustizia e nella solidarietà, nel diritto e nella pace, una vita sempre più umana”.

Gli articoli raccolti a cura di Furio Bouquet sotto il titolo O’ scia ci richiamano al rischio di cadere nell’indifferenza, che chiude i nostri cuori alle istanze tanto della misericordia quanto della giustizia.

E’ necessario essere capaci indignarsi, come ha scritto Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa: “Non riesco a comprendere come una simile tragedia possa essere considerata normale, come si possa rimuovere dalla vita quotidiana l’idea, per esempio, che 11 persone, tra cui 8 giovanissime donne e due ragazzini di 11 e 13 anni, possano morire tutti insieme, come sabato scorso, durante un viaggio che avrebbe dovuto essere per loro l’inizio di una nuova vita… Sono indignata dall’assuefazione che sembra avere contagiato tutti”.

  Ed è necessario essere capaci di soffrire con chi soffre, come ci ha detto papa Francesco nella straordinaria omelia durante la messa di penitenza celebrata a Lampedusa: Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle?… Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del ‘patire con’: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere! Domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi come questo. «Chi ha pianto?». Chi ha pianto oggi nel mondo?”

  La biblista Marinella Perroni ci ha fatto il prezioso dono di autorizzarci a pubblicare il testo della relazione tenuta a Padova l’11 gennaio 2012.

  Il senso di questa riflessione è preannunciato nella premessa: Sento di dover sfatare la convinzione che il linguaggio amoroso sia parola meno potente del linguaggio politico, giuridico, economico, liturgico, facendolo uscire dalle secche di un romanticismo deteriore e di un sentimentalismo, anche religioso, di maniera… ‘Ti amo’ si dice troppo presto, soprattutto oggi che gli adolescenti stabiliscono rapidamente relazioni sessuate molteplici…

  ‘Ti amo’, forse, si dice troppo. Eppure, non è soltanto una dichiarazione esplicita, ma un’interrogazione implicita (‘mi ami?’), un’interrogazione che chiama a com-promesso e che prevede una con-spirazione (‘ci amiamo’), cioè un’azione dello spirito… dire ‘ti amo’ comporta riconoscimento riconoscenza, attesa e compimento, passione e smarrimento. Per chi crede, poi, il linguaggio amoroso è linguaggio teologico”.

  Abbiamo voluto concludere questo numero della nostra rivista pubblicando alcuni momenti della celebrazione eucaristica per il 50° anniversario di matrimonio di Paolo e Luisa Benciolini, che i nostri lettori conoscono bene per i loro preziosi contributi, fin dall’inizio di questa “avventura”.

  Lo abbiamo fatto per esprimere loro la nostra riconoscenza e per far loro l’augurio che si realizzi quanto hanno chiesto nella celebrazione eucaristica: “Ti chiediamo, Signore, di continuare ad amarci con la fedeltà che abbiamo promesso a noi stessi e all'altro nella dedizione semplice e serena, accogliendo quello che la vita ci potrà riservare”.

Furio Bouquet

   
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