Anno XXXVIII - n. 2 - giugno 2013

EDITORIALE

Il tempo è l’ambito del nostro divenire,
                                                  la condizione per acquisire l’identità
                                                  che ancora non ci appartiene…
                                                  l’offerta di una particolare
                                                  possibilità di esistenza.
                                                                             Carlo Molari

La riflessione di Molari ci richiama al valore e alla responsabilità del tempo ovvero, come dice Molari stesso, al rischio di non diventare noi stessi.

  Sono passati 50 anni dalla morte di Giovanni XXIII e dalla pubblicazione della sua lettera enciclica Pacem in terris, scritta in un momento cruciale della storia del XX secolo - come è cruciale il momento che stiamo vivendo - e non possiamo non interrogarci sulle “possibilità” che il tempo ci offre.

  L’intervento con cui Raniero La Valle ha concluso l’Assemblea dedicata alla “Pacem in terris”, svoltasi a Roma il 6 aprile u.s. non è quindi una semplice celebrazione, ma un puntuale richiamo a quanto l’enciclica ha ancora da dire oggi: Vorrei trovare il legame più stringente tra l’evento dell’enciclica che noi commemoriamo e il passaggio a cui è chiamata la Chiesa di oggi. Qui c’è l’arco voltaico che dalla ‘Pacem in terris’ e dal discorso sulla Chiesa dei poveri, va al papa che oggi si presenta senza frange né filattèri; è qui che il fuoco dell’enciclica può tornare ad ardere oggi, perché quella riforma del papato che papa Giovanni aveva avviato, e dopo di lui sem-brava essersi esaurita, ora con papa Francesco può riprendere.

  Con papa Francesco comincia a prender forma l’auspicio della poesia di padre Casaldaliga, che pubblichiamo in questo numero; lo si legge nei suoi primi gesti e nelle sue prime parole che, a distanza dal suo primo affacciarsi su piazza S. Pietro, non possono più essere considerate come espressione dell’emozione del momento. Esse sono già anticipate in qualche modo da quel “credo” che Francesco ha scritto giovanissimo, appena diventato sacerdote, e ha confermato quando è diventato cardinale.

  Come scrive Dario Vivian: “Si può fare della retorica populista, ma può anche avvenire che si ritessa il filo di una concretezza evangelica, a fronte di una retorica ecclesiastica e magisteriale”.

  Matrimonio continua la riflessione sulla povertà che, da un lato è il cuore della conversione che è richiesta dall’annuncio evangelico e dall’altro è una realtà che ci circonda.

  La raccolta di scritti, coordinata da Malvina Zambolo, che pubblichiamo sotto il titolo “Riflettendo sulla povertà”, parte dal gesto della lavanda dei piedi che Gesù ha compiuto la sera dell’ultima cena mostrando “come l’amore si traduce in azione concreta di servizio”, e prosegue nella narrazione di esperienze vissute d’incontro con diverse forme di povertà.

  Spesso non riconosciamo queste povertà, tanto da indurre Roberto Cucchini a domandarsi:”ci siamo mai chiesti cosa significhi mendicare non denaro, ma diritti, allo sportello di un ufficio pubblico, piuttosto che un lavoro al bancone di un’agenzia di lavoro temporaneo per vendersi per poche giornate o settimane?”.

  Marco Torresini richiama la nostra attenzione al “problema carcere” ed Eugenia Milanesi e Maurizio Mariani a quello dell’ “accoglienza in un’esperienza d’affido”.

  Il tema del chiedere ”non denaro, ma diritti” fa da sfondo alla coraggiosa lettera aperta indirizzata a Benedetto XVI da una madre che definisce la “specialità” del giovane figlio - irripetibile, come ogni uomo che nasce sulla terra - “omoaffettività, non l’omosessualità, perché l’uomo è una grandezza insondabile e non può essere identificato esclusivamente per la sua sessualità”. “Non esiste un amore eterosessuale di serie A e un abominevole amore omosessuale di serie Z”.

  Ma, come scrive Luisa Solero, riflettendo sul racconto biblico del sacrificio del figlio Isacco chiesto ad Abramo: “la realtà che ci circonda sacrifica in continuazione la vita innocente… vita e morte sono poste quotidianamente in dolorosa contrapposizione”.

  E tuttavia, Marcello Milani ci dice: “La fedeltà e misericordia che Dio esige dal credente, non nascono da una “regola” imposta, ma dalla risposta di persone che contemplano l’amore di Dio e si lasciano conquistare da lui”.

  E’ necessario credere che la realtà possa diventare diversa: dobbiamo accettare il nostro limite e tuttavia essere attenti a cogliere le offerte che la vita ci propone, le opportunità che rendono possibile un futuro diverso.

  E’ quello che Francesco, dono dello Spirito Santo ci esorta continuamente a fare.

Furio Bouquet

   
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