Anno XXXVII - n. 1 - marzo 2012

EDITORIALE 

I cristiani e la Chiesa non dovrebbero mai temere le domande, anzi
                                                      dovrebbero suscitarle, amarle, sostare in esse perché è dalle domande
                                                      che cresce la ricerca della fede, il desiderio di scrutare i pensieri di Dio.

Simone Weil [1]

La citazione di S. Weil è già stata utilizzata in un editoriale precedente, ma ci è sembrato utile riproporla in rapporto al contenuto di questo numero di ”Matrimonio”.

Dopo gli articoli pubblicati nei 4 numeri della scorsa annata, “Matrimonio” riprende il tema della “convivenza”, cioè della decisione - transitoria o definitiva - di condividere per amore la vita senza sposarsi.

Gli articoli redazionali hanno suscitato diversi interventi esterni (G. Piana, L. Lorenzetti, C. Zuccaro) e da tutti è stata richiamata l’attenzione sulla necessità di conoscere il più oggettivamente possibile una realtà che sta assumendo dimensioni sempre più rilevanti, ma che non si presta a facili generalizzazioni.

Su questa linea si pone l’articolo del costituzionalista N. Russo, che affronta il tema alla luce della Costituzione della Repubblica italiana, a partire da quell’articolo 29 che comunemente viene utilizzato per negare ogni riconoscimento giuridico alle coppie di fatto: “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.

L’Autore svolge un’articolata riflessione, facendo – tra l’altro – un’accurata analisi della terminologia comunemente usata (famiglia naturale, famiglia legittima, famiglia di fatto, matrimonio, convivenza, …) e giungendo alla conclusione che “Il legislatore non può chiudere gli occhi di fronte a questa realtà, che richiede una regolamentazione al fine di dare … riconoscimento, protezione e stabilità ai diritti e doveri delle persone legate da rapporti di fatto ed anche al nucleo a carattere familiare (alla “società naturale”) che da quei rapporti scaturisce”. L’Autore esprime il convincimento che la Costituzione non vieti un intervento legislativo.

Sorge allora spontanea la domanda: “Perché sposarsi”? (Potremmo dire anche : perché questa Rivista continua a chiamarsi “Matrimonio” ?).

Questa domanda (già posta nel n. 3/2006, in cui proponeva una risposta provvisoria: “il matrimonio è - può essere - tanto al livello simbolico (purtroppo ridotto spesso ad una vuota ritualità), quanto al livello del concreto vivere quotidiano (sempre a rischio di banalizzazione) la condizione che immette la relazione personale dentro la dimensione sociale e comunitaria in cui essa si espone, si gioca ed è sottratta al rischio di ripiegarsi sulla dimensione privata”), viene raccolta da d. Battista Borsato, che parte dall’osservazione: l’attuale progresso sociale e culturale pone domande “altre” e “nuove” rispetto al passato, che ci obbligano a riflettere per cercare nuove risposte. Non sono mai domande oziose, perché ci impegnano a ripensare continuamente il significato di ciò che viviamo e scegliamo: questo senso “ripulito” darà spinte per vivere meglio l’esperienza umana del presente, compresa quella sponsale.

L’Autore si pone provocatoriamente la domanda: “Si può ipotizzare un futuro senza il matrimonio?”.

Luisa Solero, con la consueta lievità, ci offre il racconto di un’esperienza vissuta, che ci invita a guardare alla realtà delle storie di persone concrete, senza pregiudizi, con animo sereno, per cogliere “segni” che, se ci si fermasse alle “norme” non sarebbero riconosciuti.

Paolo Benciolini affronta un tema diverso, che tuttavia ha una grande rilevanza per la vita della coppia e della famiglia: “Riprendiamo a parlare della morte, del morire”.

L’Autore ci ricorda che: abituarsi ad un nuovo stile di relazione familiare nella confidenza con le persone amate anche sui temi della salute e della malattia è una prospettiva che ci riguarda tutti. L’avvicinarsi della morte, vissuto nella comune consapevolezza, può consentire alla persona malata di sentirsi meno sola, di percepire espressioni di affetto talora in termini imprevisti e, a volte, di riallacciare legami spezzati da tempo… Scrivo queste note nel tempo di Avvento, il tempo dell’attesa del Salvatore. Abituarci, assieme ai nostri familiari, all’attesa di un evento come la morte che ci raggiungerà tutti è anche questo un modo di vivere con consapevolezza il tempo e la vita che ci sono donati”.

Questo tema incrocia quello dei diritti negati alle coppie “di fatto”, come mostra la commovente testimonianza di R. Podestà, alla quale è stato negato di essere vicina a W. Bonatti, compagno di una vita, che ne invocava la presenza nelle ultime ore della sua esistenza terrena, in una “clinica privata religiosa, tutta marmi e stucchi”[2].

Furio Bouquet


[1] Citato da d. B. Borsato in “Il sapore della fede”.   Edizioni Dehoniane Bologna, 2011, (pag 113).

[2] Le ultime ore di Bonatti, derubato del mio amore. La Repubblica 30 settembre 2011

   
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