Anno XXXVII - n. 4 - dicembre 2012

EDITORIALE

Maranathà:   S. Paolo 1° Co. 16,22

Marana thà: Vieni nostro Signore

Maran athà: Il Signore nostro è venuto

Paolo De Benedetti

Questo numero và in tipografia nel pieno del tempo d’Avvento, mentre ancora la nostra invocazione è marana thà: vieni nostro Signore, ma quando arriverà nelle mani dei nostri lettori il Natale sarà già alle spalle e potremo dire il nostro stupore: maran athà, il Signore nostro è venuto.

Siamo ancora tentati di contrapporre corpo e spirito e guardare al primo con sospetto, ma l’Incarnazione mostra che questa contrapposizione è figlia di una cultura che ha segnato profondamente - e non è stata ancora del tutto superata - il cristianesimo, ma contrasta con la visione biblica.

Nella quarta domenica d’Avvento verrà proposto un brano della lettera agli Ebrei: “Non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato… Ecco io vengo per fare la tua volontà”.

Il corpo è l’unico “luogo” in cui noi siamo e possiamo fare la volontà di Dio, che non dobbiamo andare a cercare lontano, ma dobbiamo cogliere in tutte le occasioni che la vita ci propone, per amare chi ci è prossimo come noi stessi, senza discriminazioni e senza esclusioni.

E’ questo desiderio di uno sguardo senza pregiudizi che ci è sembrato di cogliere nel documento stilato da un gruppo di laici in occasione dell’Incontro mondiale delle famiglie tenutosi quest’estate a Milano. L'impressione che ci sembrò di cogliere prevalente, nei lunghi mesi di preparazione dell'evento, fu quella di una declinazione alta, a volte, oseremmo dire, altisonante, della realtà della famiglia… Un messaggio - si arrivò a dirlo - per famiglie "normocomposte". Ci parve opportuno scegliere un altro stile e di privilegiare una postazione diversa da cui osservare, sospinti da una indicazione evangelica suggerita da un Vescovo che negli anni in cui fu in mezzo a noi era solito dirci che sognava una chiesa che non parlasse prima di aver ascoltato, che parlasse solo dopo aver ascoltato, Ci parve prioritario ascoltare. Ascoltare famiglie del nostro tempo, diremmo raccoglierne le storie, a volte i gridi. Sfuggendo all'inganno di imprigionarle tutte in unico schema. Ci sembravano povere e impoverenti le visioni che, assolutizzando un solo modello di famiglia, riducevano, in modo sconcertante, la realtà che sta davanti ai nostri occhi”.

L’attenzione a quanto quotidianamente ci accade è testimoniata da Maria Rosa e Bepi : Vogliamodirvicheinquestotempocisentiamoimpegnatisufrontiinattesi. Ilprimoderivadauninsegnamentocheabbiamoricevutodallavita. Abbiamoimparatoanavigareavista,impegnandociperl'oggietrascurandodipreoccuparciperildomani. Questocisembraagevoliilnostrovivereapportandoserenitàeleggerezza,giornodopogiorno. Lasecondaconfidenza: stiamoimparandoche vivereancheciòcheèillogico,èquasicomeseliberasseunapartedelmondodisprezzato,scoprendocosìmodinuovi,inattesi… Un'ultimacosa riguardalabellezzadelloscambiarciunsorriso,unosguardodiaccoglienza.Allevolteesseresereniepositivialpuntodiavervogliadisorridere,nonèfacile… alloraricercareunsorrisodascambiarcireciprocamente,nonforzato,nonfalso,masereno,èlacosamigliore”.

E’ a queste due testimonianze che vogliamo affidare l’augurio che vogliamo fare a tutti i nostri lettori.

“Matrimonio” continua la proposta di riflettere sul Concilio Vaticano II - celebrato 50 anni fa - con la consapevolezza che ricordare il Concilio non consiste nella sua celebrazione, ma nel rielaborarne la memoria, per capirne il significato e farne scaturire eredità nuove e antiche, per scoprirvi significati rimasti nascosti e promuovere il futuro.

E’ questo il senso del contributo di d. C. Molari “Le varie interpretazioni del Vaticano II”: “la ricezione del Vaticano II è ancora in corso perché i cambiamenti introdotti e le riforme sollecitate erano molto numerose e alcune troppo radicali per essere accolte in breve tempo tutte e integralmente”. E parlando della fedeltà alla Tradizione scrive: la Chiesa è la stessa in tutti i secoli e in tutti i concili. Però si tratta di una tradizione viva, il che non significa una tradizione arbitraria. La continuità include sia nuove definizioni, sia la loro ricezione creativa e una loro diversa inculturazione”… Nel termine rinnovamento viene espressa la concezione biblica del “nuovo”, cioè di una novità escatologica gratuita, non deducibile, inconsunta e continuamente sorprendente. Il vangelo non è mai semplicemente ciò che si conosce da antica data, ma il nuovo eterno.

E Marco Campedelli riprende questo tema, richiamando al rischio di commemorare il Concilio e persino leggerne i testi, senza che nulla cambi: se non si sciolgono alcuni antichi nodi, se non cambia l'ermeneutica con cui si legge il mistero di Dio e il mistero dell'uomo, e la storia come luogo del passaggio di Dio nel mondo, l'utopia ne sarebbe umiliata”.

Buon anno!

Furio Bouquet

   
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