Anno XXXVI - n. 2 - giugno 2011

EDITORIALE

I cristiani e la chiesa non dovrebbero mai temere le domande,
anzi dovrebbero suscitarle, amarle, sostare in esse,
perché è dalle domande che cresce la ricerca della fede,
il desiderio di scrutare i pensieri di Dio.  

 Simone Weil  [1]

Come accaduto in passato, in questo numero di “Matrimonio” abbiamo voluto cercare di rendere partecipi i lettori del percorso di ricerca della Redazione, pubblicando il resoconto della discussione avvenuta nell’ultimo incontro.

La posizione della Redazione è ben espressa dalle parole di Simone Weil che abbiamo riportate all’inizio, che ci rimandano ad un detto ebraico: “Una bella risposta è nulla. L’uomo si definisce  per ciò che lo inquieta e non per ciò che lo rassicura, perché Dio significa  movimento non spiegazione”.

Nel riflettere sul tema delle convivenze, “Matrimonio”  ritiene che non si tratti di prendere posizione a favore o contro questa scelta di vita, né di chiedere alla Chiesa di prendere semplicemente atto di ciò che accade.

Non si tratta nemmeno di rendere  omologhi il matrimonio e le diverse forme di convivenza, anche omosessuale, che non possono però essere condannate a non avere riconosciuto alcun diritto.

Si tratta piuttosto di guardare a ciò che accade senza pregiudizi  e senza giudizi sommari, di rispettare la dignità delle persone che fanno scelte diverse e di cercare di capirne il significato.

Come dice Lidia Maggi, si tratta di “uscire fuori dai grandi modelli interpretativi del fenomeno delle convivenze per proporre i necessari distinguo e mettersi in ascolto delle singole storie”.  “Le storie sono singolari e difficilmente giudicabili a priori. Alla scuola delle Scritture impariamo non il giudizio sui principi ma l’ascolto attento e non giudicante, capace di discernere ogni singola storia, evitando le semplificazioni generiche”.

Ci sembra questa la condizione per annunciare credibilmente la “buona notizia” affidata ai cristiani che vivono l’esperienza dell’amore e del matrimonio, quello che d. Battista nel libro che recensiamo chiama “il sapore della fede”.

Invece, come ci ricorda d. Dario Vivian, “il modello dal quale veniamo avrà pure permesso di dare stabilità ai matrimoni, ma troppe volte a spese delle persone e della stessa qualità evangelica dell’esperienza matrimoniale. 

Altra cosa è rivisitare con intelligenza il grande simbolismo biblico … Ne potrebbe venire una modulazione diversa della stessa ritualità, che ad esempio accompagni i passaggi vissuti dalle persone dilatando il sacramento nel tempo, con la possibilità di assumere impegni graduali e sempre più profondi “.

Dopo essersi domandata, con la consueta leggerezza, se sappiamo ancora leggere i “segni dei tempi”, Luisa Solero annota: possiamo discuterne in astratto, “ma la realtà è che non è il matrimonio che fonda la famiglia, ma è l’amore che fonda le relazioni, che le sostiene e le alimenta. Ed è attraverso l’amore che Dio entra nella storia dell’uomo e si fa famiglia, nelle più svariate forme in cui essa si costituisce, che Dio si incarna nell’umanità, e giorno dopo giorno nasce e vive, e soffre e muore. Ed è per questo che Dio ha bisogno dell’uomo, della relazione d’amore fra gli uomini, tutti gli uomini di qualsiasi credo sulla terra e sotto il cielo”.

Nel confronto redazionale non siamo riusciti a trovare il fondamento scritturistico e teologico del duro rifiuto delle convivenze (ribadito recentemente, senza argomentarlo, anche da Benedetto XVI), se non ipotizzando il persistere del “sospetto” nei confronti della sessualità, che ancora serpeggia in ambito ecclesiale, quasi che il matrimonio fosse l’ “autorizzazione” a vivere la sessualità di coppia. 

In un articolo del 1980 che abbiamo ritenuto di riproporre, F. e M. Bouquet, riflettendo sull’innamoramento come profezia, scrivevano ”nella Bibbia, in cui affonda le sue radici il cristianesimo che la venera come l’inesausto dialogo tra Dio e l’uomo, … una vicenda “privata” come quella tra Osea e Gomer non solo non è ritenuta “banale”, ma diviene esemplare della vicenda tra Jahvè e Israele suo popolo, narrata in tutte le sfumature del linguaggio dell’eros. Tale prospettiva è rimasta a lungo nell’ombra, verosimilmente anche per il sospetto caduto sull’eros e la sessualità … eppure vicende come quella di Osea e Gomer e quella narrata dal Cantico dei Cantici” cantano “tutto il dispiegarsi di forze liberanti una sessualità prorompente e gioiosa”.

Affidiamo questo numero alla lettura critica di chi ci segue, e ringraziamo di cuore chiunque vorrà aiutarci nella ricerca che abbiamo avviato.

La redazione


[1]  Citato da Battista Borsato in “Il Sapore della fede”,  EDB, 2011

   
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