Anno XXXVI - n. 3 - settembre 2011

EDITORIALE

Sono convinto che il cristianesimo
abbia un vero e proprio “peccato originale”
da scontare nei confronti dell’umanità,
che consiste nell’aver gravato il fenomeno umano
di un grande senso di colpa originario
per il fatto stesso di esserci

V. Mancuso  [1]

 

Il percorso della riflessione redazionale sul tema della scelta, sempre più diffusa, di convivere senza sposarsi ha incrociato la domanda “perché il sacramento del matrimonio?”, che è subito diventata “perché i sacramenti? ” e ancor prima “cos’è il peccato originale?”

Il tema viene affrontato da d. Battista Borsato, che prende atto del fatto che “persone credenti e anche non credenti … s’imbattono nel cosiddetto ‘peccato originale’ … avvertito come uno ‘scandalo della fede cristiana’ … Il fatto stesso che il battesimo venga vissuto come … il rito nel quale verrebbe  ‘cancellato il peccato originale’ e si acquisirebbe lo status di figli di Dio, crea già problemi.”  D. Battista si domanda: “E’ davvero possibile pensare al peccato originale come  una ‘tara ereditaria’ …?  E’ possibile che i bambini nascano ‘colpevoli’ prima ancora di poter scegliere?”.

Considerato che “sono pochissimi i passi biblici che parlano esplicitamente di ciò che noi chiamiamo peccato originale (che non è mai designato con questo nome)”, l’Autore giunge alla conclusione “l’errore della concezione teologica tradizionale (che va coraggiosamente rivista) sul peccato originale sta, a mio parere, nel chiamarlo “peccato”.

Anche il racconto di un’esperienza personale di Bepi Stocchiero, ci ha indotto ad interrogarci su quello che viene chiamato “peccato originale” e sul sacramento del battesimo. Scrive Bepi Stocchiero: “ho avuto modo di udire in chiesa l'affermazione che ‘mediante il battesimo siamo diventati figli di Dio’.  Questa affermazione, detta dal celebrante, non mi aveva colpito particolarmente in passato … ma, come succede spesso, ciò che non ti ha colpito prima, ti colpisce in un momento particolare e ti fa ri­flettere  … Come a dire che chi non è battezzato non è figlio di Dio …”

Inizia così un dialogo col teologo d. Dario Vivian, che in un primo momento dà una risposta che lascia l’interrogante insoddisfatto, perché troppo tecnico-teologica. Il teologo riprende quindi il tema, partendo dall’osservazione “per trop­po tempo, si è pensato che l’unico modo per essere inseriti in Cri­sto fosse il rito sacramentale. Bisogna arrivare al Vaticano II, per­ché la chiesa ufficialmente affermi che lo Spirito agisce per vie che solo Dio conosce (GS 22)”, per giungere alla conclusione “Ogni rito sacramentale rimanda al ‘sacramento’ Cristo, quindi ad una relazione tra Dio e il mondo, Dio ed ogni essere umano, che non esclude nessuno;(il rito) evidenzia però che l’alleanza tra umano e divino passa attraverso il Figlio, venuto a condividere la sua esistenza con noi”.  

Giannino Piana offre il suo contributo alla riflessione sulle convivenze osservando che  “la lettura eminentemente giuridica che del sacramento del matrimonio si è data … ha finito per identificare il momento di insorgenza del sacramento con la celebrazione del rito, riducendolo di fatto a un atto puntuale, del tutto oggettivabile, e scorporandolo di conseguenza dal rapporto con il passato e con il futuro della vita della coppia.

Il superamento di questa prospettiva giuridica, avvenuto con il Vaticano II (cfr. Gaudium et spes, n. 48), … conferisce alla sacramentalità un carattere dinamico; fa sì che essa venga concepita come una realtà che si costruisce gradualmente, attraverso un processo che ha inizio con lo sbocciare dell’amore e che si approfondisce man mano che l’amore cresce, acquisendo sempre più i connotati di una scelta esclusiva e per la vita. …

In riferimento a questo tema  ci  è parso utile proporre una riflessione di padre D. M. Turoldo sui rischi del moralismo: “esiste il primato della fede sulla morale, non della morale sulla fede:  è la fede come “tensione in Dio” che deve guidare tutta l’azione dell’uomo, non è l’azione dell’uomo che deve guidare una fede”.

La Rivista proseguirà la riflessione sui sacramenti e in particolare su quelli dell’eucarestia e del matrimonio, partendo da una duplice convinzione: i sacramenti non sono gesti magici che ci sottraggono alla nostra responsabilità, né sono privilegi che ci separano dal resto degli uomini.

L’articolo del teologo Carlo Molari, che riprendiamo dal n. 1/1994 di “Matrimonio” ci sembra una preziosa introduzione a questo tema.

Scrive Molari;  “la prima funzione del sacramento è questa: allenarsi a rendere presente, a far venire Dio nella storia degli uomini, cioè ad essere in grado di esprimere più amore, più misericordia secondo la crescita che è avvenuta, secondo le nuove esigenze della storia … Il sacramento è l'allenamento ad accogliere, cioè ad essere attenti al dono della vita che ci viene offerta. Quindi la seconda funzione del sacramento è precisamente questa: accogliere la vita che fluisce, che ci viene donata continuamente. Ci viene donata dai fratelli, dalle esperienze che facciamo, dagli incontri”.

Ancora una volta molti interrogativi, espressi ad alta voce, non contro il Magistero della Chiesa, ma per quella lealtà nei suoi confronti, alla quale il Concilio chiama i laici.

La Redazione


[1]   Vito Mancuso. L’antinomia del mondo e il desiderio di bene. - (Ore Undici,  n. 9, 2011, pag. 12)